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ennero una mattina di primavera, con i camion e ci portarono in via
Artom.
Insieme ad altri profughi, provenienti dalla Tunisia, dalla Carnia, da
Pola, Fiume, dai paesi della Campania, della Sicilia, della Puglia, fummo
trasferiti in quel quartiere, dalle Casermette, da via Verdi, dai prefabbricati
di lamiera costruiti dall’allora autorità cittadina per accogliere chi aveva
bisogno di un rifugio anche precario. Tutti con il fardello del nostro passato
e la speranza in un futuro immaginato e sperato.
Un giorno alla nostra porta bussò un prete, alto, corpulento, con una
faccia rubiconda e due occhi buoni e fiduciosi. “Buon giorno, come state?
Disturbo? Sono Don Felice, il Parroco di San Remigio. Sono venuto a conoscervi.
Spero di non disturbare. Ci sono giovani tra di voi? Stiamo formando un gruppo,
se volete venire siete i benvenuti. Costruiremo una baracca di legno, faremo
conoscenza e tante cose insieme.”
Così andammo, in molti, ed in breve tempo, nacque un gruppo che chiamammo: “Gruppo Giovanile Basse Lingotto”,
formato dai ragazzi di Via Artom e dai
ragazzi abitanti delle case FIAT.
Era l’anno 1968, anno in cui nacque la contestazione. Dopo poco tempo,
visto il grande numero di partecipanti, ci trasferimmo in uno scantinato che ci
aveva offerto Franco, il figlio di un pollivendolo di piazza Bengasi. La
baracca divenne la sede del Gruppo Sportivo San Remigio, e della squadra di
calcio.
Nelle stagioni estive, molti pullman portavano al mare i ragazzi e le
ragazze di via Artom, e delle case FIAT, sulle spiagge di Spotorno o di Loano,
e si cantava, al ritorno, tutti in coro, le canzoni della giovinezza.
In inverno, con la neve, si andava a Signols, in Val di Susa, dove un
ostello per giovani e famiglie ci accoglieva, nelle sue calde stanze, e dove
trascorrevamo giornate serene e partecipavamo alle Messe di Don Felice,
cantando le nostre canzoni, accompagnati dal complessino musicale, formato da Fiorenzo, indiano
di Bombay, che suonava la chitarra ritmica, da Piero, torinese, chitarra
solista, Claudio, pugliese, al basso, da Angelo, veneto, all’organo e dal tunisino Janot alla batteria.
Era difficile la vita, in quegli anni, in via Artom. Il quartiere non
godeva di una buona fama.
Don Felice non ebbe vita facile nella sua opera di evangelizzazione e
di integrazione. Dopo alcuni anni
andò a svolgere la sua opera di pastore, in altra sede. Ma il seme da
lui sparso, germogliando, diede i suoi frutti.
Sbocciarono molti amori, tra i
giovani ragazzi. Molte nuove famiglie si formarono. Nacque una nuova
generazione.
Rividi dopo molti anni Don Felice, in occasione della visita in città
di un prelato latino - americano, alla nuova Chiesa del Santo Volto. Andammo a
salutarlo. Lui, bianco e invecchiato ma sempre con la sua espressione dolce,
negli occhi, non ci riconobbe. Disse, guardandoci: “Pregate per me”.
Il 28 dicembre del 2003, dopo 35 anni, con alcuni amici del gruppo
musicale, Fiorenzo e Janot, assistemmo
all’abbattimento del palazzone di via Garrone. Alle 14,30 un boato, una nuvola
di polvere. Il gigantesco edificio barcolla, si accartoccia su se stesso, poi rovina
giù. Nella polvere si intravedono alcuni
palloncini colorati che s’innalzano verso l’alto. Solo noi li vediamo. Sono i
nostri sogni di allora che avevamo lasciato in quella casa, nei cassetti.
I palazzoni di via Artom, con
le finestre che iniziano ad illuminarsi, si stagliano nel cielo denso di nubi,
di quel freddo pomeriggio invernale, a Torino. La nostra mente corre ai Natali
festosi passati in famiglia, con i nostri cari che ora non ci sono più, tra
quelle mura adesso sgretolate e ammassate in un cumulo di macerie. Quanti
ricordi affiorano alla mente.
Gaetano Donato