venerdì 11 febbraio 2011

Piano Margi

Dal libro di marcia di Mowgli, scout nel 1957.

Piano Margi.

La strada verso “Antenna a mare” era dura e impervia. Il monte si ergeva fino ai 1.100 metri di altitudine. Noi procedevamo in fila indiana, lentamente, appesantiti dagli zaini. Dopo un certo tempo giungemmo all’osservatorio meteorologico, dove ci fermammo per salutare i nostri amici dell’aeronautica militare che svolgevano il loro servizio e per fare loro un po’ di compagnia.
Normalmente il “viaggio di prima classe” si svolgeva in solitaria, ma vista la difficoltà del percorso, noi eravamo in due scouts. Dopo un anno di noviziato, gli scouts che hanno fatto la “Promessa”, si cimentano in questa prova per mettere in atto tutto ciò che hanno appreso sulla tecnica scout, riguardo all’orientamento con la bussola millesimale, la marcia all’Azimut, la costruzione di una mappa con il metodo delle “Tavolette Pretoriane”, il riconoscimento delle piante e degli animali, le loro orme e tracce, la conoscenza dei nodi e delle legature, l’allestimento di vari tipi di fuochi per cuocere le vivande, il montaggio di una tenda o di un rifugio di fortuna, la conoscenza dei primi rudimenti di pronto soccorso, l’invio di messaggi a mezzo di bandiere semaforiche o con l’alfabeto Morse ecc. Con questo Hike (Viaggio) conseguono il brevetto di “Scout di Prima Classe”.

Lo “Scoutismo” (Scouting), fu fondato da un generale inglese di nome Sir Robert  Stephenson Smyth Lord Baden Powell of Gilwell, chiamato Baden Pawell dagli scouts o semplicemente B. P.
Durante la guerra dei Boeri, in Sud Africa, nell’assedio di Mafeking, vista la scarsità degli uomini, utilizzò dei ragazzi per i servizi di vedette e portaordini.
Alla fine della guerra, tornato in patria, visto l’entusiasmo e l’impegno con cui i giovani svolsero il loro compito, pensò di creare un gruppo di ragazzi, i giovani esploratori o scouts, insegnando loro, quell’insieme di conoscenze necessarie ad un esploratore. Nell'agosto 1.907 tenne un campo sull' isola di Brownsea  con venti ragazzi di diverse estrazioni sociali, per verificare la praticabilità di alcune delle sue idee. Scouting for boys (Scoutismo per ragazzi)  fu in seguito pubblicato, nel marzo 1.908.
Ragazzi e ragazze si unirono spontaneamente per formare squadriglie ed il movimento scout divenne inaspettatamente un fenomeno di massa, dapprima nazionale, in seguito internazionale.
In Italia, durante il ventennio fascista, vennero chiusi tutti i Gruppi Scout. La squadriglia delle “Aquile Selvagge”, operò clandestinamente sui monti dell’Italia del Nord.

Giunti a “Piano Margi”,  una verde e larga radura circondata da boschi di conifere, trovammo altri due scouts che avevano raggiunto quel luogo seguendo un altro percorso. Poi ne giunsero altri due. Dopo circa tre ore dal nostro arrivo eravamo in otto scouts. C’era anche il nostro Assistente, il Salesiano Don Giuseppe, il nostro Baloo, che si cimentava nella prova. Quella sera montammo quattro tende canadesi “Mottarone”. Quindi, fatto l’alzabandiera, accendemmo un fuoco, in una buca, dove poi cuocemmo il pane azzimo chiamato Twist. Era un impasto di farina acqua e sale con cui si modellava un cordone spesso circa due centimetri e arrotolato su un ramo di pino scortecciato ed introdotto nella buca dove restavano le braci della legna bruciata.
Al Fuoco di Bivacco, Baloo narrò una storia  di B. P.:

“Quando ero giovane c'era in voga una canzone popolare: «Guida la tua canoa» con il ritornello» «Non startene inerte, triste o adirato. Da solo tu devi guidar la tua canoa». Questo era davvero un buon consiglio per la vita. Nel disegno che ho fatto, sei tu che stai spingendo con la pagaia la canoa, non stai remando in una barca. La differenza è che nel primo caso tu guardi dinnanzi a te, e vai sempre avanti, mentre nel secondo non puoi guardare dove vai e ti affidi al timone tenuto da altri e perciò puoi cozzare contro qualche scoglio, prima di rendertene conto. Molta gente tenta di remare attraverso la vita in questo modo. Altri ancora preferiscono imbarcarsi passivamente, veleggiando trasportati dal vento della fortuna o dalla corrente del caso: è più facile che remare, ma egualmente pericoloso. Preferisco uno che guardi innanzi a sé e sappia condurre la sua canoa, cioè si apra da solo la propria strada. Guida tu la tua canoa.”

Cantammo poi alcuni canti: “Signor, tra le tende schierati, …”; Ah io vorrei tornare anche solo per un di…”…..

Al mattino, ammainato il tricolore, dopo una breve preghiera, tornammo al Riparto, nella nostra sede del XXIII Gruppo Scout, percorrendo circa trenta chilometri di marcia.

Baloo ed un altro scout, Kaa, ci hanno lasciati perché sono tornati alla casa del Padre. Li avremo sempre nei nostri cuori.

Desidero ricordare alcune parole dell’Ultimo Messaggio di Baden Powell a tutti gli scouts del mondo:
« ...ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Procurate di lasciare questo mondo un po' migliore di quanto non l'avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato il vostro tempo, ma di aver fatto "del vostro meglio". »

Mowgli.

(Gaetano Donato)

mercoledì 26 gennaio 2011

L' Incendio di Roma

A
ssiso sul davanzale e appoggiato allo stipite della finestra che si affacciava sulla via dei Fori Imperiali, con la Lira in mano strimpellava le sue distratte note, osservando l’incendio che divorava lentamente la Città Eterna, da lui appiccato dolosamente nei quartieri malfamati, dalle vie strette, buie, squallide, abitati dalla plebe, dal volgo, dai cristiani, vicino alla Cloaca Massima, dove venivano espulsi gli escrementi dei Patrizi e della Corte Imperiale.
Una corona di alloro adornava le tempie e la fronte ampia del Divo Nerone, ultimo Imperatore della Gens Julia per volere del tonante Giove e di Giunone, sua consorte, mentre osservava, con languida espressione, il rossore delle braci che appariva in lontananza e il fumo acre che si innalzava dai quartieri abitati dai buzzurri.
Una schiera di giovani puellae provenienti da Cartagine, dalla Dacia, dalla vicina Apulia, si aggirava nelle stanze limitrofe, pronte ad assecondare i desideri nascosti dell’Imperatore.
“Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum,”;
“Dammi mille baci, poi cento, poi mille altri, poi ancora cento, poi sempre altri mille, poi cento.” Aveva suggerito per lui il sommo poeta Gaio Valerio Catullo.
E mentre osservava la rovina della Città Imperiale, queste parole profferiva alla dolce e bionda Sylvania, dagli occhi di cielo, proveniente dalla Foresta Nera, ultima preda del fidato Fetonte.
La Domus Aurea era stata addobbata, quella sera, per l’ultima grande festa che il Divo Nerone, aveva concesso ai suoi cortigiani; un grande triclinio era stato approntato, con morbidi cuscini, per accogliere le dolci terga della puella Sylvania e delle altre fanciulle provenienti dalle lontane province dell’Impero.
Musica, canti, danze di etére greche ed etiopi, portate di piatti esotici di cibi di ogni tipo, e poi vino dei Castelli e Chianti della vicina Etruria.
Per molte ore si protrasse il festino. I commensali, com’è noto, svuotavano all’uopo gli stomaci colmi, nelle canaline poste ali lati del triclinio, comunicanti con l’allevamento dei maiali che si trovava negli ambienti sottostanti, pronti a ricominciare a mangiare e bere. Ciò accadeva mentre il sommo cantore, l’aedo della vicina Neapolis, allietava con i suoi gorgheggi, accompagnandosi con la Lyra, gli astanti, cantando le avventure erotiche di Esopo e di Ulisse nell’isola della maga Circe.
La pulcherrima (bellissima) Poppea, seconda moglie del Divo Cesare, mal sopportava questo andazzo e lo redarguiva,  anche quando tornava tardi dalla corsa dei cocchi. La mater Agrippina aveva desiderato un figlio diverso, meno perverso, pensando per lui la carriera di  sacerdote di Apollo. Ma era sempre stato uno scavezzacollo anche da puero. Ambedue non vissero a lungo. Si sospettò che egli avesse delle responsabilità sulla loro misteriosa e precoce fine.
Notizie di questi avvenimenti giunsero alle orecchie dei Senatori, che riunitisi in seduta plenaria permanente, per indagare sulle probabili origini dolose dell’incendio, ascoltarono un testimone che aveva notato il divo Cesare aggirarsi, nottetempo, nella suburra, abitata dai seguaci della  nuova religione, importata da un giudeo palestinese, poi crocifisso, che predicava l’abolizione della schiavitù, l’uguaglianza di tutti gli uomini e l’amore universale.
Poteva andar bene per l’amore universale, che avrebbe fatto risparmiare molte migliaia di sesterzi all’Erario dell’Urbe, ma abolire la schiavitù e creare un contratto di lavoro per i lavapiatti o i portatori di portantina, significava scardinare l’ordine dello Stato e il Diritto Romano.
I senatori furono tutti denunciati a piede libero e accusati di Comunismo (un’altra religione che si sarebbe sviluppata alcuni secoli dopo). Non ci è dato sapere che fine abbiano fatto. Non si hanno notizie certe sulla riforma del Senato che, Egli, si apprestava a compiere, né se sia riuscito a portarla a termine.
Questo riportano le cronache del tempo e le storie di Publio Cornelio Tacito, inviato speciale di Res Publica, casa editrice di Galba, suo rivale, che divulgava gli Editti Imperiali in tutto il mondo allora conosciuto, dalle colonne d’Ercole al Vallo di Adriano e di cui aveva l’esclusiva assoluta.
Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza!...

domenica 9 gennaio 2011

La Fabbrica "Ideale"


La Fabbrica “Ideale”

La Società “Nebiolo”, industria costruttrice di caratteri e macchine da stampa, già da alcuni anni ha cessato la sua attività. Era una fabbrica molto importante per la città di Torino, per la qualità e la peculiarità dei suoi manufatti, apprezzati in tutto il mondo.
I caratteri da stampa, creati dal genio di artisti come Raffaello Bertieri, Alessandro Butti, Aldo Novarese, erano apprezzati dalle tipografie di tutto il mondo. Fusi per vari alfabeti, come il Greco, il Cirillico, l’Aramaico, l’Arabo, l’Ebraico, ecc….
 Le macchine da stampa offset, dal puntino tipografico perfetto, realizzavano opere di grande qualità e pregio ed erano vendute in tutto il mondo: dall’America del sud (Argentina, Brasile, Perù…) all’America del Nord ( USA, Canada, Messico…). E poi, in Unione Sovietica, in Sud Africa, in India, in Sol Levante, in Europa, nei paesi Arabi…...
La sua storia si estende dalla fondazione, ad opera di Giovanni Nebiolo e dei fratelli Lazzaro e Giuseppe Levi, di famiglia ebraica, agli inizi del 1900, colpiti poi dalle leggi razziali, ai nostri giorni, fino all’avvento della FIAT e al suo declino e alla definitiva scomparsa del’ultimo piccolo gruppo: la “Nebiolo Printech”, nel 2004.
La storia dell’azienda narra di periodi di difficoltà, alternati a periodi di espansione e di benessere, come è normale che accada nella storia delle vicende umane.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in seguito ad una profonda crisi, i dipendenti della Fonderia Caratteri, non percepirono lo stipendio per due anni. Vennero aiutati, per affrontare le spese quotidiane, dai negozianti di Borgo Aurora, con l’istituzione dei quaderni su cui veniva annotato il costo della spesa delle famiglie, e con la creazione di una società di mutuo soccorso, fatta dagli stessi operai, per la distribuzione del carbone nei mesi invernali. Alla fine di quel periodo di profonda crisi industriale, vennero pagati gli stipendi e gli arretrati. Alcuni dipendenti accettarono anche azioni emesse dalla Società Nebiolo, a copertura parziale o totale del debito. Anche i negozianti furono pagati. Questo raccontavano gli operai anziani di Fonderia Caratteri.
Adesso molti anni son passati da quando la Nebiolo ha chiuso i battenti. Passando da via Padova, all’incrocio con via Bologna, alzo lo sguardo verso le finestre del secondo piano, dove c’era la Fonderia Caratteri. Osservo le vetrate rotte che come occhiaie vuote guardano la via. Attraverso quelle aperture mi sembra di intravedere i volti dei miei compagni e colleghi con i quali ho condiviso tanta parte della mia vita.
Il Gruppo Anziani Nebiolo (GAN), fondato nel 1960, conta attualmente  165 soci che si incontrano  due volte l’anno.
A Dicembre, per scambiarsi gli auguri di fine anno, pagare la quota associativa, ritirare il panettone e la bottiglia di spumante; a Giugno, per partecipare al pranzo sociale annuale in un buon ristorante.
Cosa li lega così tanto? Non sanno spiegarselo neanche loro appieno. Sono vissuti tanti anni della loro vita in quel Microcosmo chiamato “Nebiolo”. Molti hanno girato il mondo, montando le macchine da stampa, conservando nella mente e nel cuore tanti  ricordi. È nato un sentimento che va al di là dell’amicizia che lega operai, impiegati, tecnici, capi, dirigenti.
Continueremo a vederci grazie all’impegno del Presidente, Aurelio Campeggi, della Segretaria, Maria Grazia Fracchia e dei Consiglieri che continuano a prestare la loro opera.  
In un incontro avuto presso la Circoscrizione 7, nel quartiere Aurora, un paio di anni fa, il nostro Presidente aveva chiesto una piccolissima sede, nell’area di via Bologna, dove esisteva la Fonderia Caratteri e la Fonderia Ghisa, dove poter depositare i nostri ricordi e incontrarci, ma non abbiamo finora avuto alcuna risposta.
Speriamo che arrivi in un tempo ragionevole, visto che  ogni anno il nostro numero si fa sempre più piccolo. Per adesso ci incontriamo presso il Circolo Culturale “Fortino” che gentilmente ci affitta un locale.

Gaetano Donato
 
 
 
 
 


The “Ideal” Factory.

The “Nebiolo” Company, types and printing machines builder Industry, already from many years stopped its business. It was a very important Company for the Town of Turin, for the quality and the peculiarity of its products, appreciated all over the world.
Types for printing, created by the genius of artistes as Raffaello Bertieri, Alessandro Butti, Aldo Novarese,  had been appreciated by the printing words, in the world. Melted for many alphabets, as the Greek, the Cyrillic, the Aramaic, the Arab, the Hebrew, etc…
The offset printing- machines, with the perfect typographical point, carried out great quality and good works sold all over the world: from South America (Argentina, Brazil, Peru, to North America (USA, Canada, Mexico…). And after , in Soviet Union, in South Africa, in India, in Europe, in Arabic Countries…

Its history begins from foundation, by the work of Giovanni Nebiolo and by Lazzaro and Giuseppe Levi brothers, Jewish family, at the beginning of 1900, hit after, by the racial lows, to our days, till the advent of FIAT Company and to its decline, and to the definitive disappearance of the last little group: The Nebiolo Printech, in 2004.
The history of the Company tells us about difficult periods, alternated to expansion and well-being periods, as it is normal that happens in the history of human events.

Immediately after the Second World War, in the wake of a deep crisis, the workers of the Types-Foundry didn’t cash the salary for two years. They had been helped, to face the daily shopping, by the shopkeepers of Borgo Aurora, with the institution of  copy-books on which they made a note about the cost price of the families shopping, and with the creation of a “Mutual Rescue Society”, made by the same workers, for the distribution of the coal in the winter season. At the end of that very deep industrial crisis, salaries and arrears had been paid.  Some workers accepted also shares emitted from Nebiolo Company, for a partial or total covering of the debt. Shopkeepers had been paid for, too.
Senior workers of the Type-Foundry told that.

Now many years passed since Nebiolo closed its wings. Walking in Padova street, crossroad Bologna street, I raise my look towards the windows at second floor, where had been the Type-Foundry. I look at the broken large windows that like empty eyes are looking at the street. Through these openings, I look like glimpse my work friends and colleagues, with whom I spent a so long time of my life.
The Seniors Group Nebiolo, (GAN), founded in 1960, currently counts 165 partners that meet twice in a year. On December, for exchanging the end of year whishes, for paying the social share, pull back the cake made with candied fruit, and the sparkling wine bottle; On June, to take part in the social yearly lunch, in a good restaurant.
What does join together  them so much? They are not able to explain it fully. They lived for many years of their life in that Microcosm called Nebiolo. Many went around the world to assemble the printing- machines, keeping in their minds and in their hearths so many memories. A feeling which goes over the friendship united workers, clerks, technicians, chiefs, managers. We will continue to meet  for the care of our President Aurelo Campeggi, of our Secretary Maria Grazia Fracchia and of Councilors that continue to provide their work.
About two years ago, the President, in a meet with the Circoscrizione 7 (seven District), in the Aurora District, asked for a very little room, in the area of Via Bologna, where existed The Type-Foundry and the Cast Ironic-Foundry, where we would put our memories and would meet ourselves, but we haven’t any replay so far.
We hope that it will arrive in a reasonable time, as every year our number becomes more little.
Now we meet ourselves on the premises of the “Circolo Culturale Fortino”, that kindly rent us a room.

mercoledì 24 novembre 2010

Procopio Cococò (Precarious)

While I was walking in the tree-lined park, near the river side I met a young man. He was going slowly, as one who is not in a hurry, who knows there’s nobody waiting for him and as one who has not a definite destination.
He sat down near me on a wooden bench, green painted, and looked at the water  slowly flowing with leaves and debris collected on the white picks, going towards the great sea, last destination..
He was wearing a blue overalls, anonymous, without written words, and was looking to a cell phone he had in his hands. Suddenly the cell-phone rang. “Hallo” he replied. “Yes, I am Procopio, at two I will be on the job for the second shift. Thank you!”
He looked at me and smiling faintly with sadness said to me: “Perhaps to-day I have a job.”
Also I smiled and encouraged for his attitude I asked him about his job. He was about thirty. The same age of my son.
“I worked in a little business, for ten years,” he said  “in the area of  engineering. One day, the owner transferred his business in Romania, and I and my companions had been  jobless”.
“Have you received Redundancy Payment or the Mobility?” I asked him. “No. For the little business aren’t any finance special  term.” “And how did you live?” “I am at home with my parents, retired persons, God save them!” “Now I have a contract for one day, Friday second shift. Maybe they will call me for other contract, Monday, for the night shift. This month it was well, I had seven job contracts, only one for five days.” “What do you do in the factory?” I asked him , curious. “I make the same work other normal workers indefinite time, carry up, but I earn some Euros less in a hour, and I haven’t vacations, thirteenth salary, illness insurance.” But do you, at least, eat at canteen?” I asked him. “No, I am not entitled to have the canteen, I take a roll. No, we can’t have even a cupboard to put our dresses. We put them on a knob of a pipe or where we find. And we leave our car out of the parking place, because we aren’t true workers but only precarious ones.”
“And now where are you working?” “I cannot say it” he replied “I must keep the secret, for contract, but if you wish to know it, I can describe the kind of work I’m developing .
The factory is situated in the periphery, hidden among the trees of a great park; outside  is not possible to see it. Inside some very illustrious scientists coming from all over the world are studying for a great electronic brain, the most powerful had never existed, for the computer that will substitute the human brain. It will be applied to some subhuman beings, created with a technique of artificial biology cloning, to substitute manual human work. Productions cost will have a drastic fall.”
“By God, but this is a very great invention!” I said then with much enthusiasm. “Think that if these robots had been invented some centuries ago, History would have been an other street! French Revolution wouldn’t ever been! Neither the Russian one! And Karl Marx rather then write “The Capital”, he would have written “The Great Brother and the Sister”. “But, dear sir” said to me “we wouldn’t have been Mr. Obama as the President of U.S.A.!” “Why?” Then I asked.
“Because wouldn’t have existed the ancient Galleons brought the black slaves from Africa to the New World, providing to the labor of that period.”
“You are right, of course! Then it’s better History takes its natural course. Like a river flowing in its bed and going out of embanks would cause disasters and mournings.
“Goodbye Procopio, I wish you a good working.” “Thank you, sir, I wish you a good day!”


Gaetano Donato



Procopio Cococò (Precario).

Incontrai un giovane mentre camminavo nel parco alberato, in riva al fiume.  Aveva il passo lento di chi va senza fretta, come chi non ha nessuno che lo aspetta e non ha una meta precisa. Si accomodò vicino a me su una panchina di legno dipinta di verde e guardava l’acqua scorrere lenta che portava seco foglie e detriti raccolti in alto sulle bianche vette e che accompagnava fino al grande mare, ultima meta.
Indossava una tuta blu, anonima, senza scritte e aveva tra le mani un telefonino, che osservava. Ad un tratto il telefonino squillò. “Pronto, “-rispose-”si, sono Procopio. Va bene, alle 14,00 sarò sul posto per il secondo turno. Grazie.!”
Mi guardò, e abbozzando un sorriso amaro mi disse: “Forse oggi lavoro.”
Anch’io gli sorrisi e incoraggiato dal suo atteggiamento gli chiesi del suo lavoro. Aveva circa trent’anni. L’età di mio figlio.
 “Ho lavorato in una piccola azienda, per dieci anni, nel campo della meccanica. Poi, un giorno, il proprietario trasferì la sua attività in Romania, ed io e i miei colleghi restammo senza lavoro.”
“Hai avuto la Cassa Integrazione o la Mobilità.” -Gli chiesi. -“No, per le piccole aziende non è prevista nessuna di queste agevolazioni.” E come hai fatto a vivere? “Sono a casa dei miei genitori, pensionati, che mi aiutano e mi danno conforto, che Dio li conservi a lungo!
 Adesso ho un contratto per un giorno, venerdì secondo turno. Forse mi chiameranno per un altro contratto lunedì, turno di notte. Questo mese è andata bene, ho avuto sette contratti di lavoro, solo  uno lungo cinque giorni.”
“Cosa fai in azienda?” Gli chiesi incuriosito. “Faccio lo stesso lavoro che svolgono gli operai normali, quelli a tempo indeterminato, solo che guadagno qualche euro in meno all’ora, e non ho diritto alle ferie, alla tredicesima, alla mutua.” “Ma almeno mangi alla mensa.” Gli dissi. “No, non ho diritto alla mensa, mi porto un panino. Sa, noi non abbiamo diritto neanche ad avere un armadietto dove poggiare i vestiti. Li appoggiamo sulla manopola di un tubo, o dove è possibile. E lasciamo la macchina fuori del posteggio, perché non siamo dipendenti veri, siamo finti.”
“Adesso dove lavori?” “Non posso dirlo” rispose “devo mantenere il segreto, per contratto, ma se le interessa, posso descrivere il tipo di lavoro che sto svolgendo.
 La fabbrica è in periferia, nascosta tra gli alberi di un grande parco;  da fuori non si nota. All’interno alcuni illustri scienziati venuti da tutto il mondo studiano un grande cervello elettronico, il più potente che sia mai esistito, per il computer che sostituirà,  il cervello dell’uomo. Verrà poi applicato a degli esseri subumani, creati con delle tecniche di clonazione artificiale che sostituiranno il lavoro manuale degli uomini. Il costo del lavoro subirà una drastica diminuzione”.
“Ma questa è proprio una grande invenzione!” Dissi allora pieno di entusiasmo. “Pensa che se questi robot fossero stati inventati alcuni secoli fa, la storia avrebbe avuto un altro corso! Non ci sarebbe stata la Rivoluzione Francese! Neanche quella Russa! Carlo Marx, anziché scrivere il Capitale, avrebbe scritto “Il Grande Fratello e la Sorella”.
“Però, caro signore” mi disse “non avremmo avuto Obama come Presidente degli USA!”
“Perché?” chiesi allora.
“Perché non ci sarebbero stati gli antichi Galeoni che portarono gli schiavi neri dall’Africa al Nuovo Mondo, per sopperire alla manodopera dell’epoca.”
“Hai ragione, perbacco! Allora è meglio lasciare che la Storia segua il suo corso naturale. Come un fiume che scorre nel suo letto e che quando va fuori dagli argini può provocare disastri e lutti.”
“Ciao Procopio, ti auguro buon lavoro”. “La ringrazio, signore, Le auguro una buona giornata!”

Gaetano Donato

giovedì 18 novembre 2010

Il Tram dei desideri

     Si chiama “4”, il tram dei desideri. Corre libero e felice da Falchera a Mirafiori. Attraversa, da un capo all’altro, Augusta Taurinorum,  detta poi “Torino”  dai moderni abitanti, che dagli antichi loro predecessori ereditarono anche la precisione nella suddivisione della mappa cittadina, chiamata adesso “ZTL”. All’interno di essa esiste il castrum, dove hanno residenza i patrizi e i rappresentanti del popolo, ed anche  coloro che, nuovi barbari, vivono negli anfratti e nelle soffitte delle antiche domus.

     Parte festante dai campi verdi della periferia, il “4”, per tuffarsi nel buio sotterraneo tunnel dei ricordi, dove i viaggiatori attraversano la dimensione che li porterà nella metropoli dei sogni.
Sono gli abitanti delle periferie che si recano in centro per lavoro, per andare a scuola, per fare shopping, anziani pensionati con la passione del turismo cittadino ed anche coloro che vivono negli accampamenti periferici nascosti dalla boscaglia in riva ai fiumi o ai margini dei cimiteri o nei campi ancora popolati da scoiattoli, mossi dalla curiosità, dal bisogno e dal luccichio delle vetrine dei negozi.

     Nel tram dei desideri tutti possono esaudire le loro aspirazioni. Molti viaggiatori portano a spasso i cani, liberi da museruole o da gabbie costrittrici, moderne macchine di tortura, perché, una volta traversato il tunnel dei ricordi, perdono, come gli umani, la selvatichezza, assumendo la natura primordiale antecedente il peccato originale. Così, molti esseri vezzosi, dimentichi di pagare l’obolo a Cesare, salgono sovra pensiero, pensando ai casi della vita. Spesso, per non disturbare, si sistemano vicino alle porte di uscita, formando grappoli eterogenei e multicolori., pronti a dissolversi con agilità imprevista, all’apparire dei Pretoriani.

     Il ricordo dei bigliettai degli anni ’60 è ormai relegato in soffitta o citato nei film in bianco e nero: “Si invitano i signori passeggeri ad andare avanti! Si prega di lasciare libere le porte!” diceva il bigliettaio, con un guanto di gomma infilato nel pollice della mano destra per far scorrere i biglietti da vendere. Controllava l’altezza dei bambini e la dimensione delle valige con il campione stampato sulla fiancata interna del tram.

     Il cavallo d’acciaio, (così lo appella un capo Navajo che suona musica country, insieme alla tribù,  la domenica mattina, a Piazza Castello, e che era andato agli Uffici dell’Anagrafe alla Falchera) scorre veloce sui binari, mentre un anziano, imbarazzato dal seno di una mamma “globetrotter”, che allatta la sua piccola, vicinissima al suo viso, dimentico della sua valigia di cartone, fa un comizio ad alta voce sul mondo ladro ed il paese che va in rovina.
     Un bimbo, seduto su un enorme passeggino, succhiando il suo biberon lo guarda divertito salutandolo con la manina.
     Una voce metallica annuncia dall’altoparlante la prossima sosta: “Prossima fermata, Porta Palazzo; Next stop Porta Palazzo.”
     Il tram numero “4” scorre veloce, scodinzolando, sui binari.

Gaetano Donato

sabato 23 ottobre 2010

Un'amica fedele

Un’amica fedele.
Ci eravamo conosciuti molti anni fa, quando eravamo ancora in tenera età.
Abitavamo prima in via San Agostino poi, dopo la guerra, in via Divisi.
Avevi le sembianze della mia prima amichetta, Costanza, che abitava al terzo piano, noi al secondo, e che aveva un piccolo triciclo rosso col quale scorazzavamo per la casa.
Costanza aveva le trecce bionde e gli occhi verdi, come te. Mi fosti vicina quando andai a scuola per la prima volta, al Turrisi Colonna e al Giovanni Meli. Poi conobbi i primi compagni e, per un po’ mi lasciasti.
Ci ritrovammo, un giorno d’estate, nel viale San Martino, dove, giunto da poco, non conoscendo nessuno, mi aggiravo, osservando la nuova città e pensando alla vita. Mi prendesti per mano e mi accompagnasti lungo le vie del centro e sul lungomare, dove osservavamo le onde spumose accese dalla luce del sole che nasceva. Lì spirava sempre un venticello che ti accarezzava i capelli, l’aria marina sapeva di salsedine, i sogni ci accompagnavano anche di giorno. Conobbi poi molti amici e compagni che mi riempirono la vita e te ne andasti via.
Ma di nuovo ti incontrai e fosti ancora una volta la benvenuta. Nel luogo dove mi ritrovai, che fu poi il luogo dove mi fermai per sempre, avevo bisogno ancor di più della tua presenza che mi portava tanta serenità. Ammiravamo, la sera, le vie del centro, Porta Nuova e le vetrine colorate sotto i portici di via Roma. Tu, tenendomi sottobraccio e stringendoti forte a me, mi sorreggevi e mi davi coraggio. Mi accompagnasti, nelle serate autunnali, con la nebbia fitta che faceva intravedere i ponti sfumati sul Po di cui non si scorgeva l’altra sponda e i rami neri degli alberi che come artigli si stagliavano nel cielo brumoso; nelle fredde giornate invernali, quando la neve imbiancava le solitarie strade di periferia e noi lasciavamo le nostre impronte sulla bianca coltre; nei pomeriggi estivi dei giorni di festa, quando una moltitudine di gente affollava via Garibaldi e via Po e noi ci immergevamo in quell’acquario colorato pieno di pesci di ogni tipo.
Esiste un luogo, nella nostra mente, che è la città ideale che racchiude i posti dove abbiamo vissuto e trascorso un po’ del tempo della nostra vita: vie, strade, luoghi, esperienze, ricordi. In questo luogo, verrà il tempo in cui ci rincontreremo,  con i capelli più bianchi io, tu con le trecce argentate, per passeggiare ancora insieme, Signora Solitudine.
Gaetano Donato

sabato 16 ottobre 2010

Gli Uccelli di Via Scotellaro

            In via Scotellaro, al mattino presto, quando ancora le ombre della notte si confondono con i primi chiarori dell’alba, agli inizi della stagione primaverile, una tribù di merli dal becco giallo si da convegno nel giardino sotto casa ed intona un canto melodioso, bellissimo da ascoltare, con trilli, gorgheggi, cinguetii e pigolii vari. Un canto molto gioioso.

Appollaiata sulla finestra di casa, Nikita, la mia gatta nera dal pelo lungo e dagli occhi cerulei, ascolta estasiata le note che arrivano alle sue mobili e nervose orecchie. Ascolta immobile e attenta, attraverso i vetri . Le sue tonde chiare pupille sono protese nell’oscurità e cercano di individuare i cantori che si aggirano sugli alberi e nei cespugli sottostanti.

Altri tipi di volatili visitano questo angolo verde del quartiere durante la giornata. Alcune coppie di gazze bianche e nere, dalla lunga coda, si posano a volte sui rami o saltellano nel prato, mostrando orgogliose la loro elegante livrea.

I passerotti, piccoli e carini, sfrecciano veloci in tutte le direzioni, in cerca di briciole o dei resti che i più corpulenti amici volanti lasciano loro.

Nikita osserva e tace. Talvolta si nota un leggero tremore sul suo mento, quando un più spregiudicato colombo si posa sulla finestra, dall’altra parte del vetro, guardandola ironicamente.

Si, perché i veri padroni del quartiere sono i colombi, che ad una certa ora del giorno, mai al mattino presto, perché vanno a letto tardi, iniziano le loro scorribande tra i tetti dei palazzi, tra gli alberi, i cespugli, planando velocemente sulla strada, scansando le macchine che sembra li investano ma riuscendo sempre a decollare un attimo prima.

Dall’altra parte del palazzo si erge, con la sua mole autoritaria, il palazzone dell’INPS, che sfiora con il suo tetto il cielo e le nuvole. Lassù, spesso, stanno appollaiati alcuni uccelli rapaci provenienti dal vicino parco della confluenza del Po con la Stura: Falchi, Poiane, grossi Corvi neri e minacciosi. Osservano dall’alto i prati e le vie circostanti, in attesa di un balzo che certamente porterà dolore e morte.

I bianchi Gabbiani, che evocano pensieri di mari lontani, di spruzzi di salsedine portati dal vento, di spazi azzurri e di infiniti orizzonti, hanno fondato una colonia sulle rive della Stura, dove volteggiano in grandi stormi disegnando nel cielo del Parco, figure grandiose, cangianti, sfuggenti.

Nikita osservava quella grande nube nera dei Gabbiani che si spostavano nel cielo formando una figura circolare che poi assumeva la forma di una freccia, con alla testa il Gabbiano Nocchiero, che guidava i suoi simili verso la terra promessa. “Quanto ben di Dio”, pensava in gattesco, “ed io devo contentarmi delle scatolette e dei crocchini!” Una mosca all’improvviso le volò sulla testa. Presa da un raptus cacciatorio la inseguì per tutta la casa, con balzi e salti acrobatici finchè non la prese e la pappò.

Poi, una mattina, mentre Nikita ed io, ascoltavamo il canto dei merli dal becco giallo, notammo qualcosa di diverso, di cui subito non ci rendemmo conto. Un piccolo uccellino giallo, timido e senza pretese, appollaiato sul ramo del salice piangente, cantò un canto meraviglioso.
Tutti gli altri uccelli smisero di cantare e ascoltarono estasiati il canto del piccolo uccellino giallo.
I Merli, le Gazze, i Passerotti, i Gabbiani, i Falchi Pellegrini, le Poiane, i Corvi e molte altre specie di uccelli si unirono all’uditorio, e tutti, anche se parlavano lingue diverse, capirono il canto del piccolo uccellino giallo che cantava in una lingua universale la “Libertà”, la Giustizia”, la “Fraternità”.
Quella notte ho scoperto che i gatti sognano: durante una mia peregrinazione notturna vidi Nikita che dormiva beatamente sul suo solito tavolino, sul tappetino ai piedi della finestra sul cortile. Ad un certo punto, emettendo dei flebili suoni simili a miagolii, mosse le zampine in cerca di una invisibile preda, per rimettersi poi a dormire beatamente. Ripetè l’operazione un paio di volte, cambiando posizione. “Forse avrà sognato il piccolo uccellino giallo!” Pensai.


Gaetano Donato (Studente UNI3 Falchera)