domenica 15 maggio 2011

Il Pescivendolo Gentile

S
Filippo "Il Pescivendolo Gentile"
ono fredde le mattine in queste ultime giornate di Aprile. Ha piovuto molto nei giorni scorsi e stamane un’aria frizzante ci avvolge uscendo di casa. Gli abeti del nostro giardino hanno emesso dei germogli verde chiaro  che come le candeline degli alberi natalizi, abbelliscono i loro rami. Il gatto nero che vive nella scuola di via Scotellaro, traversa la via col semaforo verde, memore della fine precoce di certi suoi amici felini. Un mio vicino di casa, terrorizzato alla vista del micio nero, fa un brusco dietro front, e, pur di non incontrarlo, va fino in corso Vercelli, allungando di diversi chilometri. Dice di non essere superstizioso, ma prudente.
Ci rechiamo alla Falchera a trovare Filippo, pescivendolo gentleman, solitario e gentile che gestisce il suo banco sotto la grande tettoia di cemento che ripara il mercato.
Filippo è un antico signore dai modi anglosassoni e gentili che venendo da un paese lontano, decide di assolvere ad una missione: fare il pescivendolo alla Falchera.
Quando giungiamo sul posto prendo nota di coloro che aspettano il loro turno.
Osserviamo la merce esposta. Calamaretti, seppie, alici, branzini, bianchetti, polipi…
Un avventore si rivolge al pescivendolo:
“Filippo, per favore, dammi due etti di alici, grosse, se puoi, sai, sono malato di cuore”. Filippo, con voce flebile: “Va bene!” “E dammi anche 1euro di gamberi, ma senza testa”. Filippo, sussurrando: “Va bene!” dopo altri due avventori, tocca a noi. Prendiamo dei calamaretti, che piacciono al figlio, dei gamberetti e dei bianchetti.
Filippo tossisce: “Etciù! Cchou! Chou!”. Si schernisce chiedendo scusa. Un signore, giovane pensionato dai capelli grigi: “Filippo, vuoi una sigaretta?”. Gli astanti abbozzano un sorriso, per educazione, per compiacere lo spiritoso comico di turno.
Una signora a me vicina: “Non fumo più da vent’anni!”. “Io da trenta, signora!” Lei: “Il medico mi disse: Se vuoi vivere devi smettere di fumare. Io misi su un piatto della bilancia la sigaretta, e nell’altro piatto i miei otto figli. Scelsi i miei figli! – Come fa i bianchetti? A polpette? Io metto pan grattato, formaggio, prezzemolo, se le piace aglio, sale e pepe.” “Si signora, io aggiungo l’uovo per legare e perché gli da un buon gusto!” – “Allora li fa come me! Oh! Come sono buoni!”
Filippo, come un esperto barista che fa roteare e girare, con stile, le bottiglie di aperitivi e lo sheker, affonda le sue lunghe e affusolate mani nella cassetta dei bianchetti, e con una mezza giravolta le imbuca in un sacchetto. Estrae le alici che tiene a bagno in una vaschetta, e, dopo averle fatte navigare ancora per un attimo, le imbusta per noi. Poi come un prestigiatore che tira fuori da un cilindro, un imprevedibile coniglio, lui, con fare grazioso, ci regala due rosse triglie, con un sorriso, mettendole nel nostro sacchetto. Una rossa triglia siciliana, sdraiata sulla cassetta, con la testa bene in vista, fa l’occhiolino alla signora che aveva chiesto dei bianchetti. La signora, che dice di chiamarsi Loredana, chiede allora a Filippo se le sue triglie fanno tutte l’occhio di triglia. Un gambero nella cassetta vicina, rivolgendosi alla triglia: “Sei fritta!” Le alici, vicine di banco esclamano: “Siamo rimaste al verde!” Loredana a cui piacciono le alici al verde, ne prende mezzo chilo. Prende quindi i sacchetti con quel ben di Dio da portare a casa, dove l’attende il suo maritino e i suoi otto figli, salvati dal fumo.
“Grazie, Filippo, quanto le dobbiamo?” Chiediamo noi, nel frattempo. Schernendosi e un po’ arrossendo, dice una cifra, a voce bassissima, che nessuno sente, perché nessuno conosce  il labiale. Loredana capisce e traduce per noi a voce alta. Qualcuno scherza: “Filippo, comprati un megafono!”. Mi porge sorridendo i pacchetti col pesce. “Grazie Filippo, arrivederci! È sempre un piacere venire a trovarti!”
Gaetano Donato

sabato 30 aprile 2011

Trasferta a Parigi

7 Gennaio 1986 – Trasferta a Parigi –                                  

L
unedì mattina sveglia alle 6,00 per Gaetano. Deve infatti recarsi presto al lavoro per ricevere dal direttore le ultime indicazioni per la prossima trasferta a Parigi.
Anche Gigliola si alza  presto. Deve portare il piccolo Lorenzo al nido e poi andare al Consultorio Familiare dove presta la sua opera come Vigilatrice d’Infanzia.
Gaetano non è molto loquace al mattino, pensa già al suo incarico che lo terrà lontano da casa per circa un mese. Beve il caffè, prepara il panino per la colazione, bacia Gigliola e Lorenzo che ancora dorme, scende le scale a piedi ed esce in strada respirando l’aria fresca del mattino.
Si reca nell’edicola sotto casa dove già Vittorio lavora da qualche ora e, preso il solito quotidiano, sale in macchina per raggiungere la “Nebiolo” a Settimo Torinese.
Nei pressi dello stabilimento nota che in un piccolo spiazzo staziona ancora Loredana, una signora che trascorre le serate facendo compagnia a chi si sente solo. E’ una vecchia conoscenza. Anni prima, in occasione di vertenze sindacali, veniva a scaldarsi al fuoco di bivacco che gli operai in sciopero accendevano nella stagione invernale, per combattere il freddo e la rabbia.
Saluta la guardia, entra nel posteggio e con il giornale sottobraccio e il panino in tasca si reca sul posto di lavoro. Ama arrivare presto, così ha tutto il tempo di leggere le notizie fresche e fare colazione.
Raffaele, il collega friulano con cui deve recarsi a Parigi, arriva di solito intorno alle 7,29. La campana suona alle 7,30. Sempre di corsa ma allegro e di buon umore.
Si recano subito dal direttore.
“Buon giorno ragazzi!” – “Buon giorno signor Moretti” – “Ecco, vi ho preparato i documenti e tutte le notizie che vi servono, quando finite la parte meccanica vi raggiungerà l’elettricista e alla fine arriveranno i collaudatori. Mi raccomando cercate di metterci tutto l’impegno possibile. E’ un cliente importante.”
Raffaele e Gaetano sono montatori meccanici di macchine da stampa.
Il loro compito è quello di montare presso il cliente la macchina che avevano già costruito in sede: una macchina da stampa offset chiamata “INVICTA 44 V”. Una quattro colori, molto bella che stampa fogli di grande formato.
Preparata l’attrezzatura, ritirati i soldi della trasferta e espletate le ultime formalità, Raffaele e Gaetano si salutano dandosi appuntamento per la mattina dopo, alle 7,00 all’aeroporto di Caselle.

L’aereo parte alle 8,00 e dopo circa un’ora atterra all’aeroporto Charles De Gaulle.
Con un taxi raggiungono la tipografia “A..Press” dove li aspetta M. lle Madeleine  Charonne, la titolare dell’azienda.
Alloggiano al solito albergo “Hotel Royal Navarin, In rue de Navarin, dove si recano per portare i loro bagagli e depositare in cassaforte il denaro affidatogli per la trasferta. Alla reception c’è sempre Roselyne Gomez, una ragazza peruviana che già da tempo lavora all’hotel. Quando Gaetano va  a Parigi va sempre a trovarla. Tra loro si è instaurata una certa amicizia. Gli ha già fatto da guida, quando anni addietro è venuto a Parigi per lavoro. Gli stringe calorosamente la mano e gli sfiora le guance con un bacio.
“Hola Roselyne, como estas?” – “Muy bien, querido, y tu?” – “Bastante bien, gracias, estoy aquì por un trabajo de acerca de un mes.”
“Roselyne, ricordati che hai promesso di portarmi a vedere il “Louvre” –
“Non dimentico le promesse, querido, anche a me interessa visitarlo! E poi adesso c’è un ristorante peruviano molto interessante, se vuoi possiamo andare con Raffaele” –
“Provo a dirglielo, ma sai, lui è tradizionalista, come i friulani, e preferisce il Merlot e le costate alla brace!” –
“Hasta la vista  Roselyne, !” – “Hasta la vista, y suerte!”
“Good bye!” – “Good bye!”

La tipografia di M. lle Madeleine  Charonne è in un locale sito in rue Victor Meric, a Clichy.      
Troviamo la macchina già schierata nella sala dove dovrà poi operare. Sono cinque elementi stampa più un mettifoglio ed una uscitafogli, per un totale di circa 12 – 15 metri ed un’altezza di tre.
Il suo valore si aggira intorno ai tre miliardi di lire.
Contrariamente a quanto succede a Torino, al mattino, gli operai della tipografia, si ritrovano davanti alla macchina del caffè e si salutano calorosamente stringendosi la mano. Cosa per noi inusuale dal momento che ci si guarda a mala pena in viso senza profferir parola.
“Bon jour à tout le monde” – Dice Pierre, il macchinista della “Heidelberg”, e stringe una per una otto mani. “Bon jour!” – Rispondono in coro gli astanti. Gaetano e Raffaele si guardano in viso con un’espressione divertita. “Questi francesi ci insegnano le buone maniere.” Pensa Gaetano fra se. Dopo qualche battuta sulla “Juventus” e su Platini si inizia il lavoro.

Per recarsi al lavoro, al mattino, prendono due metro, attraversando la città in circa 20 minuti. Sul metro la gente corre sempre, sulle scale, lungo i marciapiedi, nelle stazioni. Nelle carrozze la gente in piedi, attaccata alle maniglie, ad ogni fermata scende per agevolare chi lascia la vettura, per poi risalire. “Raffaele, non ti sembra la risacca delle onde del mare che salgono sulla rena per poi ritirasi con un movimento che non finisce mai?” – Raffaele ancora non completamente sveglio e vagamente ascoltando l’amico, con voce fioca risponde: “Si mi sembra la risacca …. ma come ti vengono certe idee a questa ora? Sei proprio un poetastro!”
In fondo alla vettura alcuni artisti di strada improvvisano veloci rappresentazioni di arte varia: burattini, mimi, cantanti, poeti.
Nelle gallerie sotterranee suonatori di strumenti vari si possono incontrare.
E’ un’umanità che va veloce. Dove? Gaetano pensa che la destinazione sia sempre la stessa, in qualsiasi città del mondo.

Il montaggio della macchina prosegue. Di giorno in giorno la struttura prende forma.
 Sotto un certo punto di vista è un’opera d’arte. Questa enorme mole di ghisa e acciaio è così perfetta in ogni particolare. Il foglio di carta dopo aver percorso quasi venti metri trascinato da molti cilindri e curletti, alla fine del suo percorso ha una precisione di stampa con un massimo di un centesimo di millimetro di tolleranza. Il puntino tipografico è il migliore del mondo, anche se la velocità lascia un po’ a desiderare.

La Nebiolo, fondata nei primi del 900 da Giovanni Nebiolo e dal genio imprenditoriale dei fratelli Lazzaro e Giuseppe Levi, amanti delle scienze e studiosi delle moderne innovazioni, fu per molti anni un’importante azienda a Torino.
La Fonderia Caratteri, dove per alcuni anni aveva lavorato Gaetano, vantava alcuni tra i più prestigiosi disegnatori grafici e creatori di caratteri del mondo, come Alessandro Butti e Aldo Novarese.
Con l’avvento delle leggi razziali, la famiglia Levi, di origini ebraiche, fu colpita da questi vergognosi provvedimenti ed in seguito iniziò per l’azienda un lento ed inesorabile declino.

Un signore di origini italiane, nativo di Feltri, saputo della presenza di italiani, veniva a trovarli  in tipografia per scambiare con loro qualche parola nella  sua lingua madre.
Pierre, così si chiamava, era già in pensione e portava molto bene i suoi 75 anni. Aveva lavorato per molti anni alla Citroën come meccanico, ed in seguito aveva aiutato Raffaele e Gaetano a risolvere dei problemi tecnici.
“Allons boire un coup? Garcons?” – “andiamo a bere, ragazzi?” – andavano a bere al bar vicino un bicchiere di Pastis. Poi mentre Raffaele e Gaetano lavoravano, Pierre  narrava episodi della sua vita a Parigi, dove viveva da circa 50 anni e dove aveva conosciuto la moglie.
 Una sera erano andati insieme dal “Bolognese” a mangiare gli spaghetti, les escargots  e a bere un vero caffè.
Una sua frase rimase loro impressa nella memoria: “Voi italiani vivete per lavorare, mentre i francesi lavorano per vivere…” sotto questo punto di vista, Pierre aveva imparato molto bene dai francesi, infatti si concedeva un vita intensa e attiva.

A mezzogiorno andavano a mangiare a “Le Silex”, in rue Victor Meric,  da Katigia, soprannominata Madame Poulet perché spesso cucinava il pollo. Era una signora marocchina, corpulenta che intercalava il suo conversare con bicchieroni di birra. Per questo era sempre di ottimo umore.
Il marito era un ometto smilzo un po’ pelato che correva tra i tavolini portando le vivande. Gustarono degli ottimi couscous, falafel, kebab e altre ricette marocchine e francesi.
Mustafà, così si chiamava, vista la loro assiduità, promise loro che quando avrebbero finito il lavoro, avrebbe cucinato in loro onore il pesce alla griglia.
Giunto il fatidico giorno, Mustafà aveva preparato i pesci puliti sulla graticola. Quando a mezzogiorno arrivarono Raffaele e Gaetano, diede fuoco alla legna del focolare.
Di una cosa Mustafà si era dimenticato, che il camino dove intendeva cucinare i pesci era stato da tempo otturato. Passati cinque o dieci minuti, un fumo nero ed intenso si levò nell’aria riempiendo i locali della taverna e anche rue Meric.
Madame Katigia con una scopa in mano minacciò il povero Mustafà correndo tra i tavoli. Questi subito trasferì i pesci su un altro fornello e con l’aiuto di Gaetano e Raffaele spense il fuoco che aveva provocato quella improvvisa e torbida nebbia. Quei pesci rimasero impressi nella loro memoria e nei loro ricordi per lungo tempo.


Gaetano Donato

giovedì 28 aprile 2011

Rosa Donato


O
ggi celebriamo il 1500 dell'unità d'Italia, ricordando i grandi personaggi che con il loro impegno, i loro ideali e spesso con il loro sacrificio, ne permisero la realizzazione. Conte di Cavour, Massimo d'Azeglio, Filippo Buonarroti, Carlo Pisacane ....
Molte donne parteciparono al grande movimento di risveglio e di rinascita della coscienza nazionale, quale fu il Rinascimento: la Contessa di Castiglione, Cristina Trivulzio di Belgioioso. E poi Adelaide Cairoli, Giuditta Sidoli, Anita Ribeiro Garibaldi ....
Tra le donne che parteciparono attivamente, prendendo le armi, scendendo nelle strade, combattendo al fianco degli uomini, ricordiamo, una figura semplice e umile di popolana, Rosa Donato. Nata a Messina nel 1808 e ivi morta nel 1867.
Rosa Donato ha circa dodici anni quando si manifestano i primi moti risorgimentali, e quando nel 1820 scoppia la prima rivoluzione dell' 800 siciliano, Rosa Donato assiste a quegli eventi. Assiste anche alla repressione, quando nel 1822, ben nove persone a Messina vengono condannate a morte, a conclusione di quei moti.
Allo scoppio della rivolta, il 29 gennaio del 1848, scese in strada e, impadronitasi fortunosamente insieme al Lanzetta di un piccolo cannone sottratto ai soldati borbonici, andava sparando contro di loro. Essendosi dimostrata del tutto degna del valore di un uomo, nell'estate del '48 fu insignita del grado di caporale con berretto e fazzoletto tricolore a girocollo, e fu posta al comando della batteria dei "Pizzillari", situata vicino al torrente Portalegni, con il compito di difendere sino alla morte le mura a nord-ovest della città. Quando non poté più mantenere la sua posizione, diede fuoco al cassone delle munizioni, uccidendo molti soldati borbonici, mentre lei stessa veniva scaraventata giù dalle mura a colpi di baionetta. Fintasi morta, fuggì a Palermo, dove il Comitato di Liberazione Siciliana, composto da Giuseppe La Masa, Rosolino Pilo e Giacinto Carini, le affidò due pezzi di artiglieria. In quell'occasione Giuseppe La Masa fece sventolare il tricolore italiano. La sconfitta di Novara dell'esercito di Carlo Alberto, ebbe gravi conseguenze anche per la Sicilia. Il Re Ferdinando Il, inviò l'esercito al comando del generale Filangeri, che dopo una dura repressione, riconquistò la Sicilia.
Rosa Donato torna a Messina e viene subito catturata e imprigionata, rimanendo in carcere per circa 15 mesi. Negli anni '50, una volta uscita dal carcere, la stessa vive di elemosina. La chiede solo agli studenti universitari, nei quali vedeva la speranza del futuro. Raffaele Villari storico, racconta che a chi le dava una moneta, lei gli baciava la mano, e qualcuno diceva che al contrario dovevano essere gli altri a baciarle la mano. Nonostante il fallimento della rivoluzione, Rosa Donato rimane viva nella coscienza dei messinesi. Una donna ormai presa dall'amarezza e dalla povertà. Nel 1860 ci si ricorderà delle sue gesta, ricompensandola con un piccolo sussidio, ma nulla di straordinario. Morirà in umili condizioni nel 1867.
Per ricordarne le gesta lo scultore Vincenzo Gugliandolo scolpì nel 1893 un suo busto in marmo, oggi collocato all"'Unicredit" del Viale Garibaldi, all'interno, subito dopo l'entrata principale. Virgilio Saccà incise una lapide, in Via Primo Settembre che recita così: "Dina e Clarenza eroine della Guerra del Vespro, ebbero nel 1848, su questa via e al Forte dei Pizzillari, emula gloriosa, l'artigliera del popolo Rosa Donato".
Rosa Donato

Today we celebrate the 150th anniversary of the Unification of Italy, recalling the great personalities who through their commitment, with their ideals and often with their sacrifices, realized it: Conte di Cavour, Massimo d'Azeglio, Filippo Buonarroti, Carlo Pisacane ....

Many women participated at the great movement of revival and rebirth of National Consciousness, that was the Renaissance: the Countess of Castiglione, Cristina Trivulzio of Belgioioso. And then Adelaide Cairoli, Giuditta Sidoli, Ribeiro Anita Garibaldi ... ,

Among the women who participated actively taking up arms, to the streets, fighting alongside men, we remember, a simple figure and lowly commoner, Rosa Donato.
She was boro in Messina in 1808 and died there in 1867.

Rosa Donato was about twelve years old when the first revolution broke out in 1820 and she was present at these events.
She saw also repression in 1822 when nine people are sentenced to death in Messina, at the conclusion of these rebellions.

At the outbreak of the revolt, on 29th January 1848, she took to the road and luckily got a small cannon to the Bourbon soldiers, together with the Lanzetta, and they were shooting at them.
Having proved to be entirely worthy of the value of a man, on the summer of '48 she was awarded the rank of caporal with hat and scarf tricolor necklace, and was placed in command of the battery "pizzillari, located near the stream Portalegni with the task of defending to the death the walls to the north-west of the city.
When she could no longer maintain her position, set fire to the ammunition dump, killing many Bourbon soldiers, and she was thrown down from the walls with bayonet blows.
Pretending to be dead, fled to Palermo, where the Liberation Committee, composed by Giuseppe La Masa, Rosolino Pilo, Giacinto Carini, gave her two pieces of artillery.
In that occasion, Giuseppe La Masa lifted up the Italian flag, the tricolor.
The defeat of Novara Army of Charles Albert, had serious consequences for Sicily too.
King Ferdinand II sent an army under the command of General Filangeri, after a crackdown, reconquered Sicily.

Rosa Donato returned to Messina and was immediately captured and imprisoned, remaining in prison for about 15 months.
In the '50s, once out of prison, she lived on alms.
She calls only to the university students, in which she saw hope in the future.
Raffaele Villari historian, says that to those who gave her a coin, she kissed their hand, and someone said that on the contrary would be others to kiss her hand.
Despite the failure of the revolution, Rosa Donato remains alive in the consciousness of the people of Messina. A woman already taken by poverty and bitterness.
In 1860 the town of Messina gave her a small pension, but nothing extraordinary. Died in humble circumstances in 1867.

To commemorate the deeds, the sculptor Vincenzo Gugliandolo in 1893 made a bust sculpted in marble, now located in the 'Unicredit Bank"ofViale Garibaldi, inside, just after the main entrance.
Virgilio Saccà a plaque engraved in Via Primo Settembre, reads:
"Dina and Clarenza, heroines of the War of the Vespers, had in 1848, in this way and in Forte dei Pizzillari, emulator glorious, "The Artillery of the People", Rosa Donato.

venerdì 1 aprile 2011

Le “Casermette San Paolo”

(Dal racconto di Petit Jean, profugo dalla Tunisia nel 1959)

L
a memoria del treno che va è sempre nei ricordi reconditi della mente. Il ritmo sincopato delle ruote che scorrono sui binari, accompagna come una colonna sonora, il film che attraverso i finestrini si proietta davanti ai miei occhi. Scorrono paesi, campagne, spiagge, stazioni, gallerie. Ore interminabili. Alla partenza, un ragazzo, subito fuori dalla stazione, aveva gridato un saluto nella lingua dei padri, che non avevo più dimenticato.
Giunti alle Casermette trovammo la zia che ci attendeva, offrendoci metà della sua stanza, divisa da un tendone, e delle persone napoletane che l’avevano accolta ed aiutata, quando era giunta, per prima, a Torino, col suo promesso sposo. I padrini di battesimo del loro primo figlio. Fu proprio il compare Gerardo e la comare Maria ad accoglierci gentilmente e a farci coraggio. Quella lingua napoletana mi ricordava i film di Totò e le commedie di Edoardo De Filippo.
Quanta umanità, in quelle semplici e povere persone! Il loro sorriso e la loro forza d’animo, ci infondevano coraggio e speranza nel futuro.
Un senso di sgomento, di vuoto, di apprensione, mi prese quando giunsi in quel luogo.  Dormivo su una branda provvisoria, scomoda perché a metà, un asse, faceva male alla schiena. Il cibo era poco. Non avevo più gli amici con cui condividere la vita. Il vuoto mi circondava. I nuovi conoscenti, generosi e fraterni, non riempivano la mia  solitudine. Sei lunghi anni sono stati rimossi dalla mia mente. Poco  è rimasto, nel ricordo,  del vivere quotidiano alle Casermette dal 1959 al 1966.
Dopo un breve periodo, ci assegnarono una stanza. I padiglioni delle casermette erano bui e tetri. Le camere dove alloggiavano le famiglie stavano allineate a destra e a sinistra di un lungo e scuro corridoio. In fondo ad esso c’erano i lavabi e i servizi igienici. Nella stagione invernale non erano riscaldati, e si doveva fare in fretta a lavarsi e a fare i propri bisogni. All’interno delle camere c’erano dei divisori per creare un po’ di riservatezza tra i  diversi membri della famiglia. Una stufa di ghisa, a carbone coke, procurava un po’ di tepore. Dietro la nostra porta aveva trovato dimora un cane lupo di nome Rocky, divenuto la nostra mascotte, che faceva la guardia in cambio di un po’ di cibo.
Avevamo conosciuto un signore veneto che aveva perso l’uso delle gambe nella campagna di Russia. Si muoveva su una carrozzina per invalidi e, a volte, andava a chiedere l’elemosina davanti alla Chiesa di Santa Rita. Noi, la domenica mattina, andavamo a Messa e lo accompagnavamo, spingendo la carrozzina, lungo corso Sebastopoli. Alla fine della Messa, regalava caramelle ai bambini, mentre lo riaccompagnavamo a casa. In una fredda mattina d’inverno ci invitò a mangiare il Gulash in una vecchia piola, alla Crocetta. Nonostante le sue condizioni, era un uomo sereno ed aveva un sentimento di ottimismo nell’affrontare la vita, che comunicava a chi gli stava vicino. Andavamo spesso ad ascoltare i suoi dischi, nella stanza del suo Padiglione. Zanìn era un appassionato di Luciano Taioli.
Leggendo gli annunci economici  su “La Stampa”, trovai presto lavoro presso le officine “Rasero”, in strada del Cascinotto, nei pressi della “Barca”. Partivo con il primo autobus da Città Giardino, intorno alle cinque del mattino, con la prima corsa. A Porta Nuova prendevo un altro autobus e giungevo a Piazza Sofia, dove  faceva capolinea. Poi a piedi, percorrendo Strada di Settimo, dopo circa venti minuti giungevo alla Strada del Cascinotto intorno alle sette. Fu un inverno freddo, con la neve e molte giornate di nebbia fitta. Avevo un impermeabile chiaro e delle scarpe bianche leggere che tutti guardavano.  Osservavo le case calde e confortevoli che, in grandi edifici,  scorrevano davanti a me, mentre procedevo. Chissà se anch’io, un giorno, avrei potuto avere una casa come gli abitanti di quella antica e nobile città che mi ospitava. Camminando, rivolgevo il pensiero e una preghiera a Dio, in quella grande e immensa Chiesa che è la Strada.

Gaetano Donato

venerdì 11 febbraio 2011

Piano Margi

Dal libro di marcia di Mowgli, scout nel 1957.

Piano Margi.

La strada verso “Antenna a mare” era dura e impervia. Il monte si ergeva fino ai 1.100 metri di altitudine. Noi procedevamo in fila indiana, lentamente, appesantiti dagli zaini. Dopo un certo tempo giungemmo all’osservatorio meteorologico, dove ci fermammo per salutare i nostri amici dell’aeronautica militare che svolgevano il loro servizio e per fare loro un po’ di compagnia.
Normalmente il “viaggio di prima classe” si svolgeva in solitaria, ma vista la difficoltà del percorso, noi eravamo in due scouts. Dopo un anno di noviziato, gli scouts che hanno fatto la “Promessa”, si cimentano in questa prova per mettere in atto tutto ciò che hanno appreso sulla tecnica scout, riguardo all’orientamento con la bussola millesimale, la marcia all’Azimut, la costruzione di una mappa con il metodo delle “Tavolette Pretoriane”, il riconoscimento delle piante e degli animali, le loro orme e tracce, la conoscenza dei nodi e delle legature, l’allestimento di vari tipi di fuochi per cuocere le vivande, il montaggio di una tenda o di un rifugio di fortuna, la conoscenza dei primi rudimenti di pronto soccorso, l’invio di messaggi a mezzo di bandiere semaforiche o con l’alfabeto Morse ecc. Con questo Hike (Viaggio) conseguono il brevetto di “Scout di Prima Classe”.

Lo “Scoutismo” (Scouting), fu fondato da un generale inglese di nome Sir Robert  Stephenson Smyth Lord Baden Powell of Gilwell, chiamato Baden Pawell dagli scouts o semplicemente B. P.
Durante la guerra dei Boeri, in Sud Africa, nell’assedio di Mafeking, vista la scarsità degli uomini, utilizzò dei ragazzi per i servizi di vedette e portaordini.
Alla fine della guerra, tornato in patria, visto l’entusiasmo e l’impegno con cui i giovani svolsero il loro compito, pensò di creare un gruppo di ragazzi, i giovani esploratori o scouts, insegnando loro, quell’insieme di conoscenze necessarie ad un esploratore. Nell'agosto 1.907 tenne un campo sull' isola di Brownsea  con venti ragazzi di diverse estrazioni sociali, per verificare la praticabilità di alcune delle sue idee. Scouting for boys (Scoutismo per ragazzi)  fu in seguito pubblicato, nel marzo 1.908.
Ragazzi e ragazze si unirono spontaneamente per formare squadriglie ed il movimento scout divenne inaspettatamente un fenomeno di massa, dapprima nazionale, in seguito internazionale.
In Italia, durante il ventennio fascista, vennero chiusi tutti i Gruppi Scout. La squadriglia delle “Aquile Selvagge”, operò clandestinamente sui monti dell’Italia del Nord.

Giunti a “Piano Margi”,  una verde e larga radura circondata da boschi di conifere, trovammo altri due scouts che avevano raggiunto quel luogo seguendo un altro percorso. Poi ne giunsero altri due. Dopo circa tre ore dal nostro arrivo eravamo in otto scouts. C’era anche il nostro Assistente, il Salesiano Don Giuseppe, il nostro Baloo, che si cimentava nella prova. Quella sera montammo quattro tende canadesi “Mottarone”. Quindi, fatto l’alzabandiera, accendemmo un fuoco, in una buca, dove poi cuocemmo il pane azzimo chiamato Twist. Era un impasto di farina acqua e sale con cui si modellava un cordone spesso circa due centimetri e arrotolato su un ramo di pino scortecciato ed introdotto nella buca dove restavano le braci della legna bruciata.
Al Fuoco di Bivacco, Baloo narrò una storia  di B. P.:

“Quando ero giovane c'era in voga una canzone popolare: «Guida la tua canoa» con il ritornello» «Non startene inerte, triste o adirato. Da solo tu devi guidar la tua canoa». Questo era davvero un buon consiglio per la vita. Nel disegno che ho fatto, sei tu che stai spingendo con la pagaia la canoa, non stai remando in una barca. La differenza è che nel primo caso tu guardi dinnanzi a te, e vai sempre avanti, mentre nel secondo non puoi guardare dove vai e ti affidi al timone tenuto da altri e perciò puoi cozzare contro qualche scoglio, prima di rendertene conto. Molta gente tenta di remare attraverso la vita in questo modo. Altri ancora preferiscono imbarcarsi passivamente, veleggiando trasportati dal vento della fortuna o dalla corrente del caso: è più facile che remare, ma egualmente pericoloso. Preferisco uno che guardi innanzi a sé e sappia condurre la sua canoa, cioè si apra da solo la propria strada. Guida tu la tua canoa.”

Cantammo poi alcuni canti: “Signor, tra le tende schierati, …”; Ah io vorrei tornare anche solo per un di…”…..

Al mattino, ammainato il tricolore, dopo una breve preghiera, tornammo al Riparto, nella nostra sede del XXIII Gruppo Scout, percorrendo circa trenta chilometri di marcia.

Baloo ed un altro scout, Kaa, ci hanno lasciati perché sono tornati alla casa del Padre. Li avremo sempre nei nostri cuori.

Desidero ricordare alcune parole dell’Ultimo Messaggio di Baden Powell a tutti gli scouts del mondo:
« ...ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Procurate di lasciare questo mondo un po' migliore di quanto non l'avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato il vostro tempo, ma di aver fatto "del vostro meglio". »

Mowgli.

(Gaetano Donato)

mercoledì 26 gennaio 2011

L' Incendio di Roma

A
ssiso sul davanzale e appoggiato allo stipite della finestra che si affacciava sulla via dei Fori Imperiali, con la Lira in mano strimpellava le sue distratte note, osservando l’incendio che divorava lentamente la Città Eterna, da lui appiccato dolosamente nei quartieri malfamati, dalle vie strette, buie, squallide, abitati dalla plebe, dal volgo, dai cristiani, vicino alla Cloaca Massima, dove venivano espulsi gli escrementi dei Patrizi e della Corte Imperiale.
Una corona di alloro adornava le tempie e la fronte ampia del Divo Nerone, ultimo Imperatore della Gens Julia per volere del tonante Giove e di Giunone, sua consorte, mentre osservava, con languida espressione, il rossore delle braci che appariva in lontananza e il fumo acre che si innalzava dai quartieri abitati dai buzzurri.
Una schiera di giovani puellae provenienti da Cartagine, dalla Dacia, dalla vicina Apulia, si aggirava nelle stanze limitrofe, pronte ad assecondare i desideri nascosti dell’Imperatore.
“Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum,”;
“Dammi mille baci, poi cento, poi mille altri, poi ancora cento, poi sempre altri mille, poi cento.” Aveva suggerito per lui il sommo poeta Gaio Valerio Catullo.
E mentre osservava la rovina della Città Imperiale, queste parole profferiva alla dolce e bionda Sylvania, dagli occhi di cielo, proveniente dalla Foresta Nera, ultima preda del fidato Fetonte.
La Domus Aurea era stata addobbata, quella sera, per l’ultima grande festa che il Divo Nerone, aveva concesso ai suoi cortigiani; un grande triclinio era stato approntato, con morbidi cuscini, per accogliere le dolci terga della puella Sylvania e delle altre fanciulle provenienti dalle lontane province dell’Impero.
Musica, canti, danze di etére greche ed etiopi, portate di piatti esotici di cibi di ogni tipo, e poi vino dei Castelli e Chianti della vicina Etruria.
Per molte ore si protrasse il festino. I commensali, com’è noto, svuotavano all’uopo gli stomaci colmi, nelle canaline poste ali lati del triclinio, comunicanti con l’allevamento dei maiali che si trovava negli ambienti sottostanti, pronti a ricominciare a mangiare e bere. Ciò accadeva mentre il sommo cantore, l’aedo della vicina Neapolis, allietava con i suoi gorgheggi, accompagnandosi con la Lyra, gli astanti, cantando le avventure erotiche di Esopo e di Ulisse nell’isola della maga Circe.
La pulcherrima (bellissima) Poppea, seconda moglie del Divo Cesare, mal sopportava questo andazzo e lo redarguiva,  anche quando tornava tardi dalla corsa dei cocchi. La mater Agrippina aveva desiderato un figlio diverso, meno perverso, pensando per lui la carriera di  sacerdote di Apollo. Ma era sempre stato uno scavezzacollo anche da puero. Ambedue non vissero a lungo. Si sospettò che egli avesse delle responsabilità sulla loro misteriosa e precoce fine.
Notizie di questi avvenimenti giunsero alle orecchie dei Senatori, che riunitisi in seduta plenaria permanente, per indagare sulle probabili origini dolose dell’incendio, ascoltarono un testimone che aveva notato il divo Cesare aggirarsi, nottetempo, nella suburra, abitata dai seguaci della  nuova religione, importata da un giudeo palestinese, poi crocifisso, che predicava l’abolizione della schiavitù, l’uguaglianza di tutti gli uomini e l’amore universale.
Poteva andar bene per l’amore universale, che avrebbe fatto risparmiare molte migliaia di sesterzi all’Erario dell’Urbe, ma abolire la schiavitù e creare un contratto di lavoro per i lavapiatti o i portatori di portantina, significava scardinare l’ordine dello Stato e il Diritto Romano.
I senatori furono tutti denunciati a piede libero e accusati di Comunismo (un’altra religione che si sarebbe sviluppata alcuni secoli dopo). Non ci è dato sapere che fine abbiano fatto. Non si hanno notizie certe sulla riforma del Senato che, Egli, si apprestava a compiere, né se sia riuscito a portarla a termine.
Questo riportano le cronache del tempo e le storie di Publio Cornelio Tacito, inviato speciale di Res Publica, casa editrice di Galba, suo rivale, che divulgava gli Editti Imperiali in tutto il mondo allora conosciuto, dalle colonne d’Ercole al Vallo di Adriano e di cui aveva l’esclusiva assoluta.
Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza!...

domenica 9 gennaio 2011

La Fabbrica "Ideale"


La Fabbrica “Ideale”

La Società “Nebiolo”, industria costruttrice di caratteri e macchine da stampa, già da alcuni anni ha cessato la sua attività. Era una fabbrica molto importante per la città di Torino, per la qualità e la peculiarità dei suoi manufatti, apprezzati in tutto il mondo.
I caratteri da stampa, creati dal genio di artisti come Raffaello Bertieri, Alessandro Butti, Aldo Novarese, erano apprezzati dalle tipografie di tutto il mondo. Fusi per vari alfabeti, come il Greco, il Cirillico, l’Aramaico, l’Arabo, l’Ebraico, ecc….
 Le macchine da stampa offset, dal puntino tipografico perfetto, realizzavano opere di grande qualità e pregio ed erano vendute in tutto il mondo: dall’America del sud (Argentina, Brasile, Perù…) all’America del Nord ( USA, Canada, Messico…). E poi, in Unione Sovietica, in Sud Africa, in India, in Sol Levante, in Europa, nei paesi Arabi…...
La sua storia si estende dalla fondazione, ad opera di Giovanni Nebiolo e dei fratelli Lazzaro e Giuseppe Levi, di famiglia ebraica, agli inizi del 1900, colpiti poi dalle leggi razziali, ai nostri giorni, fino all’avvento della FIAT e al suo declino e alla definitiva scomparsa del’ultimo piccolo gruppo: la “Nebiolo Printech”, nel 2004.
La storia dell’azienda narra di periodi di difficoltà, alternati a periodi di espansione e di benessere, come è normale che accada nella storia delle vicende umane.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in seguito ad una profonda crisi, i dipendenti della Fonderia Caratteri, non percepirono lo stipendio per due anni. Vennero aiutati, per affrontare le spese quotidiane, dai negozianti di Borgo Aurora, con l’istituzione dei quaderni su cui veniva annotato il costo della spesa delle famiglie, e con la creazione di una società di mutuo soccorso, fatta dagli stessi operai, per la distribuzione del carbone nei mesi invernali. Alla fine di quel periodo di profonda crisi industriale, vennero pagati gli stipendi e gli arretrati. Alcuni dipendenti accettarono anche azioni emesse dalla Società Nebiolo, a copertura parziale o totale del debito. Anche i negozianti furono pagati. Questo raccontavano gli operai anziani di Fonderia Caratteri.
Adesso molti anni son passati da quando la Nebiolo ha chiuso i battenti. Passando da via Padova, all’incrocio con via Bologna, alzo lo sguardo verso le finestre del secondo piano, dove c’era la Fonderia Caratteri. Osservo le vetrate rotte che come occhiaie vuote guardano la via. Attraverso quelle aperture mi sembra di intravedere i volti dei miei compagni e colleghi con i quali ho condiviso tanta parte della mia vita.
Il Gruppo Anziani Nebiolo (GAN), fondato nel 1960, conta attualmente  165 soci che si incontrano  due volte l’anno.
A Dicembre, per scambiarsi gli auguri di fine anno, pagare la quota associativa, ritirare il panettone e la bottiglia di spumante; a Giugno, per partecipare al pranzo sociale annuale in un buon ristorante.
Cosa li lega così tanto? Non sanno spiegarselo neanche loro appieno. Sono vissuti tanti anni della loro vita in quel Microcosmo chiamato “Nebiolo”. Molti hanno girato il mondo, montando le macchine da stampa, conservando nella mente e nel cuore tanti  ricordi. È nato un sentimento che va al di là dell’amicizia che lega operai, impiegati, tecnici, capi, dirigenti.
Continueremo a vederci grazie all’impegno del Presidente, Aurelio Campeggi, della Segretaria, Maria Grazia Fracchia e dei Consiglieri che continuano a prestare la loro opera.  
In un incontro avuto presso la Circoscrizione 7, nel quartiere Aurora, un paio di anni fa, il nostro Presidente aveva chiesto una piccolissima sede, nell’area di via Bologna, dove esisteva la Fonderia Caratteri e la Fonderia Ghisa, dove poter depositare i nostri ricordi e incontrarci, ma non abbiamo finora avuto alcuna risposta.
Speriamo che arrivi in un tempo ragionevole, visto che  ogni anno il nostro numero si fa sempre più piccolo. Per adesso ci incontriamo presso il Circolo Culturale “Fortino” che gentilmente ci affitta un locale.

Gaetano Donato
 
 
 
 
 


The “Ideal” Factory.

The “Nebiolo” Company, types and printing machines builder Industry, already from many years stopped its business. It was a very important Company for the Town of Turin, for the quality and the peculiarity of its products, appreciated all over the world.
Types for printing, created by the genius of artistes as Raffaello Bertieri, Alessandro Butti, Aldo Novarese,  had been appreciated by the printing words, in the world. Melted for many alphabets, as the Greek, the Cyrillic, the Aramaic, the Arab, the Hebrew, etc…
The offset printing- machines, with the perfect typographical point, carried out great quality and good works sold all over the world: from South America (Argentina, Brazil, Peru, to North America (USA, Canada, Mexico…). And after , in Soviet Union, in South Africa, in India, in Europe, in Arabic Countries…

Its history begins from foundation, by the work of Giovanni Nebiolo and by Lazzaro and Giuseppe Levi brothers, Jewish family, at the beginning of 1900, hit after, by the racial lows, to our days, till the advent of FIAT Company and to its decline, and to the definitive disappearance of the last little group: The Nebiolo Printech, in 2004.
The history of the Company tells us about difficult periods, alternated to expansion and well-being periods, as it is normal that happens in the history of human events.

Immediately after the Second World War, in the wake of a deep crisis, the workers of the Types-Foundry didn’t cash the salary for two years. They had been helped, to face the daily shopping, by the shopkeepers of Borgo Aurora, with the institution of  copy-books on which they made a note about the cost price of the families shopping, and with the creation of a “Mutual Rescue Society”, made by the same workers, for the distribution of the coal in the winter season. At the end of that very deep industrial crisis, salaries and arrears had been paid.  Some workers accepted also shares emitted from Nebiolo Company, for a partial or total covering of the debt. Shopkeepers had been paid for, too.
Senior workers of the Type-Foundry told that.

Now many years passed since Nebiolo closed its wings. Walking in Padova street, crossroad Bologna street, I raise my look towards the windows at second floor, where had been the Type-Foundry. I look at the broken large windows that like empty eyes are looking at the street. Through these openings, I look like glimpse my work friends and colleagues, with whom I spent a so long time of my life.
The Seniors Group Nebiolo, (GAN), founded in 1960, currently counts 165 partners that meet twice in a year. On December, for exchanging the end of year whishes, for paying the social share, pull back the cake made with candied fruit, and the sparkling wine bottle; On June, to take part in the social yearly lunch, in a good restaurant.
What does join together  them so much? They are not able to explain it fully. They lived for many years of their life in that Microcosm called Nebiolo. Many went around the world to assemble the printing- machines, keeping in their minds and in their hearths so many memories. A feeling which goes over the friendship united workers, clerks, technicians, chiefs, managers. We will continue to meet  for the care of our President Aurelo Campeggi, of our Secretary Maria Grazia Fracchia and of Councilors that continue to provide their work.
About two years ago, the President, in a meet with the Circoscrizione 7 (seven District), in the Aurora District, asked for a very little room, in the area of Via Bologna, where existed The Type-Foundry and the Cast Ironic-Foundry, where we would put our memories and would meet ourselves, but we haven’t any replay so far.
We hope that it will arrive in a reasonable time, as every year our number becomes more little.
Now we meet ourselves on the premises of the “Circolo Culturale Fortino”, that kindly rent us a room.