domenica 24 giugno 2012

In Chiesa e al Supermarket


A
ndavamo in fila indiana, appoggiati ad un carrello con ruote snodabili, una Domenica mattina, a visitare il Supermarket, che aveva aperto per noi i suoi battenti, in una giornata di festa. Giovani coppie con bambini e adulti ormai avanti con gli anni, che, a volte, aiutandosi con un bastone su cui appoggiarsi, si inoltravano, come in pellegrinaggio, nel nuovo Tempio.
Don Gianni e Fratel Benedetto ci perdoneranno per un giorno di assenza. Andremo alla Messa delle 18.
Poi non ci andammo, distratti dal programma televisivo che ci proponeva un gioco con i pacchi, o un’indagine sui mestieri delle persone, o una gara di ballo dove anche i principi partecipavano, e dove, con un po’ di abilità e di fortuna, si poteva diventar ricchi, e poter così comperare tante cose buone e belle.
In un angolino della nostra mente, in un piccolo riquadro, vedevamo i volti di Don Gianni e di Fratel Benedetto che ci guardavano severamente, ma noi, fiduciosi nella loro bontà, eravamo sicuri che ci avrebbero perdonato.
Quel giorno il nostro carrello si riempì di roba conveniente. Prendi tre e paghi due. Furono aggiunti tanti  punti sulla Carta Personale di Cliente Fedele per avere, in seguito, dei regali inenarrabili. Quel giorno c’era l’offerta della carta igienica. Ne prendemmo tanta, tanto da riempire il nostro ripostiglio e sistemarla anche in cima agli armadi. Avevamo fatto un affare.
Così, prendemmo l’abitudine di andare al Supermarket anche la Domenica mattina. In Inverno c’era un bel tepore e d’Estate si godeva un bel fresco.
L’angolino della nostra mente in cui, a volte apparivano Don Gianni e Fratel Benedetto, coi loro volti severi, si faceva col passar del tempo, sempre più piccolo, ma in proporzione, cresceva in noi la certezza della loro comprensione e del loro perdono. Eravamo attratti da quei luoghi. Spesso la vita, là dentro, era accompagnata da una colonna sonora con l’ultima novità della Hit Parade. Ragazze con i pattini, vestite di bianco e di rosso, percorrevano veloci i corridoi, servendo le casse e ascoltando i clienti fedeli, beati tra la folla, sognanti ad occhi aperti.
Col tempo, scordammo Don Gianni e Fratel Benedetto. Nella nostra mente il piccolo schermo in cui apparivano, a volte, si era definitivamente oscurato e spento. Anche la lucetta dello standby, era sparita.
Poi, un giorno, rivedemmo Don Gianni e Fratel Benedetto. Irene, una nostra vicina di casa, vedova novantenne, lasciò questo mondo, ed essendo una devota credente, fu portata in Chiesa per le ultime esequie. Per affetto e per dovere andammo a salutarla. Seduti sui banchi di legno scuro, partecipammo ai funerali. E riflettemmo sul senso della vita e della morte, quando, Don Gianni, rileggendo il brano del Vangelo su “La cacciata dei mercanti dal Tempio”, ricordò alle nostre orecchie e alle nostre menti, la vacuità dei beni temporali; mentre Fratel Benedetto, in ginocchio, suonando la campanella,  salutava Irene, la nostra dolce vicina di casa e di vita, che lasciava, in un alone di incenso odoroso, per sempre, questo mondo. Un raggio di sole, filtrando dalle alte bifore gotiche, carezzò, per un attimo, la semplice bara di legno, posta davanti all’Altare Maggiore.




Gaetano Donato

venerdì 13 aprile 2012

Lezione d'Inglese - UNITRE - Falchera (Torino)



Torino Febbraio 2012

M
entre andavo alla lezione d’inglese, all’UNITRE di Falchera, accesi la radio per sentire le notizie. “Lo stipendio degli italiani è il più basso d’Europa. Gli stipendi dei Grandi Manager dell’Industria e della Pubblica Amministrazione , sono i più alti del mondo. “ – “Che strani fenomeni accadono nel nostro paese” – Pensai, spegnendo la radio, visto che ero quasi arrivato a destinazione. La strada era bianca, quel giorno, una abbondante nevicata aveva coperto con una coltre candida le vie, gli alberi, le case, i nostri pensieri. Entrai nell’aula d’inglese pochi minuti prima dell’orario, e il solerte Achille insieme a Luciano sistemavano le sedie e i tavolini per gli alunni del primo corso. Anche alcuni del secondo corso erano giunti, per ascoltare e ripassare nozioni e lezioni già fatte ma sempre degne di essere rispolverate. La radio di Luciano era pronta a far sentire la sua voce, proponendoci o una canzone  o dei testi in inglese. Quel giorno ascoltammo una canzone che Luisa Chiolini, la nostra Professoressa, aveva ascoltato durante una reclame in televisione e che le ricordava il suo soggiorno americano. Una vibrante canzone di Etta James: “At Last”, “Alla Fine”. Ci colpì la voce profonda e vibrante, uno stile coinvolgente e a volte drammatico che solo certi grandi artisti sanno trasmettere.
Dopo aver corretto gli esercizi e spiegato la lezione di grammatica, Luisa ci mostrò una tovaglietta di carta, che aveva adoperata alla mensa del “Circolo dei Lettori”. Trovando una certa originalità nelle frasi che vi erano scritte riguardanti la lettura o il leggere, in generale, ci propose di osservarle e di tradurre in inglese quelle che più ci colpivano, ed eventualmente fare dei commenti.
Frasi:
 “Io vorrei leggere di più: I would like to read much more” – “Io te lo leggo negli occhi: I think to read in your eyes.” – “Io leggo perché non mi piace alzare la voce: I read because I don’t like to speak aloud.” – “Io leggo per addormentarmi: I read to fall asleep.”- “Io leggo per sognare: I read to go in dream-land.” – “Io rileggo: Sometimes I read again.” – “Io leggo perché scrivo: I read because I write.” – “Io scrivo perché leggo: I write because I read.” – Io leggo perché questo mondo non mi piace: I read because I don’t like this world.” – “Io leggo per cambiarlo: I read to change it.” – “Io leggo per evadere: I read to run away with my mind.” – “Io leggo perché sono vivo: I read because I’m alive.” – “Io sono vivo perché leggo: I am alive because I read.” -  “Io leggo quando c’è una storia: I read when there is a story.” – “Io leggo perché mi faccio un’opinione: I read so I make an opinion.” – “Io leggo perché un’opinione ce l’ho già: I read because I have just an opinion.” – “Io leggo nel pensiero, negli occhi, nel futuro: I read in the thought, in the eyes, in the future.” – “Io leggo e mi innamoro: I read and I fall in love.” – “Io leggo e qualche volta rido, qualche volta piango: I read and sometimes I laugh, sometimes I cry.” – “Io leggo perché c’è chi vorrebbe proibirlo: I read because there is somebody who’d want to forbid to do it. “Io leggo perché esisto: I read because I exist.” E altre…..
Abbiamo letto di Giulio Cesare, di Cleopatra, di Dante Alighieri, di Omero, di William Shakespeare, di Cristoforo Colombo, di San Francesco, di Robin Hood, di Pinocchio.
La scrittura, fatta di simboli grafici diversi, trasmette sul supporto cartaceo, pensieri, avvenimenti, sentimenti, storie di anime singole e di popoli.
La storia del mondo è scritta nelle pagine che i nostri padri lasciarono ai posteri in eredità.
Scorrendo quelle pagine ci immergiamo nella storia del mondo e ci meravigliamo perché là intravediamo un po’ di noi stessi.
We read about Julius Ceaser, Cleopatra, Dante Alighieri, Omero, William Shakespeare, Christopher Columbus, about Robin Hood, about Pinocchio.
The “Writing”, made by different graphic symbols, transmits on paper, thoughts, events, feelings, stories of individual souls and people.
The “World History” has been written on the pages our fathers handed down to posterity, as an inheritance.
Scrolling through these pages, we immerse ourselves in the history of the world, and we wonder, why we see in them our own history.

Quel  giorno Luisa ci parlò in breve di Virginia Woolf, Londra, 25 gennaio 1882 –  Rodmell, 28 marzo 1941, scrittrice, saggista e attivista britannica. Considerata come uno dei principali letterati del XX secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i due sessi Le sue più famose opere comprendono i romanzi La signora Dalloway (1925), Gita al faro (1927) e Orlando (1928). Tra le opere di saggistica emergono Il lettore comune (1925) e Una stanza tutta per sé (1929); nella quale ultima opera compare il famoso detto "una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi".
Alle 17, terminata le lezione, uscendo dall’aula, ritrovammo le nostre impronte sulla neve che ripercorremmo al contrario. Adesso erano appena più profonde di quelle lasciate prima: la cultura pesa!
Gaetano Donato

mercoledì 11 gennaio 2012

Via Artom (Dalle memorie di Janot, batterista Jazz)


V
ennero una mattina di primavera, con i camion e ci portarono in via Artom.
Insieme ad altri profughi, provenienti dalla Tunisia, dalla Carnia, da Pola, Fiume, dai paesi della Campania, della Sicilia, della Puglia, fummo trasferiti in quel quartiere, dalle Casermette, da via Verdi, dai prefabbricati di lamiera costruiti dall’allora autorità cittadina per accogliere chi aveva bisogno di un rifugio anche precario. Tutti con il fardello del nostro passato e la speranza in un futuro immaginato e sperato.

Un giorno alla nostra porta bussò un prete, alto, corpulento, con una faccia rubiconda e due occhi buoni e fiduciosi. “Buon giorno, come state? Disturbo? Sono Don Felice, il Parroco di San Remigio. Sono venuto a conoscervi. Spero di non disturbare. Ci sono giovani tra di voi? Stiamo formando un gruppo, se volete venire siete i benvenuti. Costruiremo una baracca di legno, faremo conoscenza e tante cose insieme.”

Così andammo, in molti, ed in breve tempo, nacque un gruppo che  chiamammo: “Gruppo Giovanile Basse Lingotto”,  formato dai ragazzi di Via Artom e dai ragazzi abitanti delle case FIAT.
Era l’anno 1968, anno in cui nacque la contestazione. Dopo poco tempo, visto il grande numero di partecipanti, ci trasferimmo in uno scantinato che ci aveva offerto Franco, il figlio di un pollivendolo di piazza Bengasi. La baracca divenne la sede del Gruppo Sportivo San Remigio, e della squadra di calcio.

Nelle stagioni estive, molti pullman portavano al mare i ragazzi e le ragazze di via Artom, e delle case FIAT, sulle spiagge di Spotorno o di Loano, e si cantava, al ritorno, tutti in coro, le canzoni della giovinezza.

In inverno, con la neve, si andava a Signols, in Val di Susa, dove un ostello per giovani e famiglie ci accoglieva, nelle sue calde stanze, e dove trascorrevamo giornate serene e partecipavamo alle Messe di Don Felice, cantando le nostre canzoni, accompagnati dal  complessino musicale, formato da Fiorenzo, indiano di Bombay, che suonava la chitarra ritmica, da Piero, torinese, chitarra solista, Claudio, pugliese, al basso, da Angelo, veneto,  all’organo e dal tunisino Janot alla batteria.

Era difficile la vita, in quegli anni, in via Artom. Il quartiere non godeva di una buona fama.
Don Felice non ebbe vita facile nella sua opera di evangelizzazione e di integrazione. Dopo alcuni anni
andò a svolgere la sua opera di pastore, in altra sede. Ma il seme da lui sparso, germogliando, diede i suoi frutti.

Sbocciarono  molti amori, tra i giovani ragazzi. Molte nuove famiglie si formarono. Nacque una nuova generazione.
Rividi dopo molti anni Don Felice, in occasione della visita in città di un prelato latino - americano, alla nuova Chiesa del Santo Volto. Andammo a salutarlo. Lui, bianco e invecchiato ma sempre con la sua espressione dolce, negli occhi, non ci riconobbe. Disse, guardandoci: “Pregate per me”.

Il 28 dicembre del 2003, dopo 35 anni, con alcuni amici del gruppo musicale, Fiorenzo e Janot,  assistemmo all’abbattimento del palazzone di via Garrone. Alle 14,30 un boato, una nuvola di polvere. Il gigantesco edificio barcolla, si accartoccia su se stesso, poi rovina giù.  Nella polvere si intravedono alcuni palloncini colorati che s’innalzano verso l’alto. Solo noi li vediamo. Sono i nostri sogni di allora che avevamo lasciato in quella casa, nei cassetti.

I palazzoni di via Artom,  con le finestre che iniziano ad illuminarsi, si stagliano nel cielo denso di nubi, di quel freddo pomeriggio invernale, a Torino. La nostra mente corre ai Natali festosi passati in famiglia, con i nostri cari che ora non ci sono più, tra quelle mura adesso sgretolate e ammassate in un cumulo di macerie. Quanti ricordi affiorano alla mente.

Gaetano Donato