sabato 30 aprile 2011

Trasferta a Parigi

7 Gennaio 1986 – Trasferta a Parigi –                                  

L
unedì mattina sveglia alle 6,00 per Gaetano. Deve infatti recarsi presto al lavoro per ricevere dal direttore le ultime indicazioni per la prossima trasferta a Parigi.
Anche Gigliola si alza  presto. Deve portare il piccolo Lorenzo al nido e poi andare al Consultorio Familiare dove presta la sua opera come Vigilatrice d’Infanzia.
Gaetano non è molto loquace al mattino, pensa già al suo incarico che lo terrà lontano da casa per circa un mese. Beve il caffè, prepara il panino per la colazione, bacia Gigliola e Lorenzo che ancora dorme, scende le scale a piedi ed esce in strada respirando l’aria fresca del mattino.
Si reca nell’edicola sotto casa dove già Vittorio lavora da qualche ora e, preso il solito quotidiano, sale in macchina per raggiungere la “Nebiolo” a Settimo Torinese.
Nei pressi dello stabilimento nota che in un piccolo spiazzo staziona ancora Loredana, una signora che trascorre le serate facendo compagnia a chi si sente solo. E’ una vecchia conoscenza. Anni prima, in occasione di vertenze sindacali, veniva a scaldarsi al fuoco di bivacco che gli operai in sciopero accendevano nella stagione invernale, per combattere il freddo e la rabbia.
Saluta la guardia, entra nel posteggio e con il giornale sottobraccio e il panino in tasca si reca sul posto di lavoro. Ama arrivare presto, così ha tutto il tempo di leggere le notizie fresche e fare colazione.
Raffaele, il collega friulano con cui deve recarsi a Parigi, arriva di solito intorno alle 7,29. La campana suona alle 7,30. Sempre di corsa ma allegro e di buon umore.
Si recano subito dal direttore.
“Buon giorno ragazzi!” – “Buon giorno signor Moretti” – “Ecco, vi ho preparato i documenti e tutte le notizie che vi servono, quando finite la parte meccanica vi raggiungerà l’elettricista e alla fine arriveranno i collaudatori. Mi raccomando cercate di metterci tutto l’impegno possibile. E’ un cliente importante.”
Raffaele e Gaetano sono montatori meccanici di macchine da stampa.
Il loro compito è quello di montare presso il cliente la macchina che avevano già costruito in sede: una macchina da stampa offset chiamata “INVICTA 44 V”. Una quattro colori, molto bella che stampa fogli di grande formato.
Preparata l’attrezzatura, ritirati i soldi della trasferta e espletate le ultime formalità, Raffaele e Gaetano si salutano dandosi appuntamento per la mattina dopo, alle 7,00 all’aeroporto di Caselle.

L’aereo parte alle 8,00 e dopo circa un’ora atterra all’aeroporto Charles De Gaulle.
Con un taxi raggiungono la tipografia “A..Press” dove li aspetta M. lle Madeleine  Charonne, la titolare dell’azienda.
Alloggiano al solito albergo “Hotel Royal Navarin, In rue de Navarin, dove si recano per portare i loro bagagli e depositare in cassaforte il denaro affidatogli per la trasferta. Alla reception c’è sempre Roselyne Gomez, una ragazza peruviana che già da tempo lavora all’hotel. Quando Gaetano va  a Parigi va sempre a trovarla. Tra loro si è instaurata una certa amicizia. Gli ha già fatto da guida, quando anni addietro è venuto a Parigi per lavoro. Gli stringe calorosamente la mano e gli sfiora le guance con un bacio.
“Hola Roselyne, como estas?” – “Muy bien, querido, y tu?” – “Bastante bien, gracias, estoy aquì por un trabajo de acerca de un mes.”
“Roselyne, ricordati che hai promesso di portarmi a vedere il “Louvre” –
“Non dimentico le promesse, querido, anche a me interessa visitarlo! E poi adesso c’è un ristorante peruviano molto interessante, se vuoi possiamo andare con Raffaele” –
“Provo a dirglielo, ma sai, lui è tradizionalista, come i friulani, e preferisce il Merlot e le costate alla brace!” –
“Hasta la vista  Roselyne, !” – “Hasta la vista, y suerte!”
“Good bye!” – “Good bye!”

La tipografia di M. lle Madeleine  Charonne è in un locale sito in rue Victor Meric, a Clichy.      
Troviamo la macchina già schierata nella sala dove dovrà poi operare. Sono cinque elementi stampa più un mettifoglio ed una uscitafogli, per un totale di circa 12 – 15 metri ed un’altezza di tre.
Il suo valore si aggira intorno ai tre miliardi di lire.
Contrariamente a quanto succede a Torino, al mattino, gli operai della tipografia, si ritrovano davanti alla macchina del caffè e si salutano calorosamente stringendosi la mano. Cosa per noi inusuale dal momento che ci si guarda a mala pena in viso senza profferir parola.
“Bon jour à tout le monde” – Dice Pierre, il macchinista della “Heidelberg”, e stringe una per una otto mani. “Bon jour!” – Rispondono in coro gli astanti. Gaetano e Raffaele si guardano in viso con un’espressione divertita. “Questi francesi ci insegnano le buone maniere.” Pensa Gaetano fra se. Dopo qualche battuta sulla “Juventus” e su Platini si inizia il lavoro.

Per recarsi al lavoro, al mattino, prendono due metro, attraversando la città in circa 20 minuti. Sul metro la gente corre sempre, sulle scale, lungo i marciapiedi, nelle stazioni. Nelle carrozze la gente in piedi, attaccata alle maniglie, ad ogni fermata scende per agevolare chi lascia la vettura, per poi risalire. “Raffaele, non ti sembra la risacca delle onde del mare che salgono sulla rena per poi ritirasi con un movimento che non finisce mai?” – Raffaele ancora non completamente sveglio e vagamente ascoltando l’amico, con voce fioca risponde: “Si mi sembra la risacca …. ma come ti vengono certe idee a questa ora? Sei proprio un poetastro!”
In fondo alla vettura alcuni artisti di strada improvvisano veloci rappresentazioni di arte varia: burattini, mimi, cantanti, poeti.
Nelle gallerie sotterranee suonatori di strumenti vari si possono incontrare.
E’ un’umanità che va veloce. Dove? Gaetano pensa che la destinazione sia sempre la stessa, in qualsiasi città del mondo.

Il montaggio della macchina prosegue. Di giorno in giorno la struttura prende forma.
 Sotto un certo punto di vista è un’opera d’arte. Questa enorme mole di ghisa e acciaio è così perfetta in ogni particolare. Il foglio di carta dopo aver percorso quasi venti metri trascinato da molti cilindri e curletti, alla fine del suo percorso ha una precisione di stampa con un massimo di un centesimo di millimetro di tolleranza. Il puntino tipografico è il migliore del mondo, anche se la velocità lascia un po’ a desiderare.

La Nebiolo, fondata nei primi del 900 da Giovanni Nebiolo e dal genio imprenditoriale dei fratelli Lazzaro e Giuseppe Levi, amanti delle scienze e studiosi delle moderne innovazioni, fu per molti anni un’importante azienda a Torino.
La Fonderia Caratteri, dove per alcuni anni aveva lavorato Gaetano, vantava alcuni tra i più prestigiosi disegnatori grafici e creatori di caratteri del mondo, come Alessandro Butti e Aldo Novarese.
Con l’avvento delle leggi razziali, la famiglia Levi, di origini ebraiche, fu colpita da questi vergognosi provvedimenti ed in seguito iniziò per l’azienda un lento ed inesorabile declino.

Un signore di origini italiane, nativo di Feltri, saputo della presenza di italiani, veniva a trovarli  in tipografia per scambiare con loro qualche parola nella  sua lingua madre.
Pierre, così si chiamava, era già in pensione e portava molto bene i suoi 75 anni. Aveva lavorato per molti anni alla Citroën come meccanico, ed in seguito aveva aiutato Raffaele e Gaetano a risolvere dei problemi tecnici.
“Allons boire un coup? Garcons?” – “andiamo a bere, ragazzi?” – andavano a bere al bar vicino un bicchiere di Pastis. Poi mentre Raffaele e Gaetano lavoravano, Pierre  narrava episodi della sua vita a Parigi, dove viveva da circa 50 anni e dove aveva conosciuto la moglie.
 Una sera erano andati insieme dal “Bolognese” a mangiare gli spaghetti, les escargots  e a bere un vero caffè.
Una sua frase rimase loro impressa nella memoria: “Voi italiani vivete per lavorare, mentre i francesi lavorano per vivere…” sotto questo punto di vista, Pierre aveva imparato molto bene dai francesi, infatti si concedeva un vita intensa e attiva.

A mezzogiorno andavano a mangiare a “Le Silex”, in rue Victor Meric,  da Katigia, soprannominata Madame Poulet perché spesso cucinava il pollo. Era una signora marocchina, corpulenta che intercalava il suo conversare con bicchieroni di birra. Per questo era sempre di ottimo umore.
Il marito era un ometto smilzo un po’ pelato che correva tra i tavolini portando le vivande. Gustarono degli ottimi couscous, falafel, kebab e altre ricette marocchine e francesi.
Mustafà, così si chiamava, vista la loro assiduità, promise loro che quando avrebbero finito il lavoro, avrebbe cucinato in loro onore il pesce alla griglia.
Giunto il fatidico giorno, Mustafà aveva preparato i pesci puliti sulla graticola. Quando a mezzogiorno arrivarono Raffaele e Gaetano, diede fuoco alla legna del focolare.
Di una cosa Mustafà si era dimenticato, che il camino dove intendeva cucinare i pesci era stato da tempo otturato. Passati cinque o dieci minuti, un fumo nero ed intenso si levò nell’aria riempiendo i locali della taverna e anche rue Meric.
Madame Katigia con una scopa in mano minacciò il povero Mustafà correndo tra i tavoli. Questi subito trasferì i pesci su un altro fornello e con l’aiuto di Gaetano e Raffaele spense il fuoco che aveva provocato quella improvvisa e torbida nebbia. Quei pesci rimasero impressi nella loro memoria e nei loro ricordi per lungo tempo.


Gaetano Donato

giovedì 28 aprile 2011

Rosa Donato


O
ggi celebriamo il 1500 dell'unità d'Italia, ricordando i grandi personaggi che con il loro impegno, i loro ideali e spesso con il loro sacrificio, ne permisero la realizzazione. Conte di Cavour, Massimo d'Azeglio, Filippo Buonarroti, Carlo Pisacane ....
Molte donne parteciparono al grande movimento di risveglio e di rinascita della coscienza nazionale, quale fu il Rinascimento: la Contessa di Castiglione, Cristina Trivulzio di Belgioioso. E poi Adelaide Cairoli, Giuditta Sidoli, Anita Ribeiro Garibaldi ....
Tra le donne che parteciparono attivamente, prendendo le armi, scendendo nelle strade, combattendo al fianco degli uomini, ricordiamo, una figura semplice e umile di popolana, Rosa Donato. Nata a Messina nel 1808 e ivi morta nel 1867.
Rosa Donato ha circa dodici anni quando si manifestano i primi moti risorgimentali, e quando nel 1820 scoppia la prima rivoluzione dell' 800 siciliano, Rosa Donato assiste a quegli eventi. Assiste anche alla repressione, quando nel 1822, ben nove persone a Messina vengono condannate a morte, a conclusione di quei moti.
Allo scoppio della rivolta, il 29 gennaio del 1848, scese in strada e, impadronitasi fortunosamente insieme al Lanzetta di un piccolo cannone sottratto ai soldati borbonici, andava sparando contro di loro. Essendosi dimostrata del tutto degna del valore di un uomo, nell'estate del '48 fu insignita del grado di caporale con berretto e fazzoletto tricolore a girocollo, e fu posta al comando della batteria dei "Pizzillari", situata vicino al torrente Portalegni, con il compito di difendere sino alla morte le mura a nord-ovest della città. Quando non poté più mantenere la sua posizione, diede fuoco al cassone delle munizioni, uccidendo molti soldati borbonici, mentre lei stessa veniva scaraventata giù dalle mura a colpi di baionetta. Fintasi morta, fuggì a Palermo, dove il Comitato di Liberazione Siciliana, composto da Giuseppe La Masa, Rosolino Pilo e Giacinto Carini, le affidò due pezzi di artiglieria. In quell'occasione Giuseppe La Masa fece sventolare il tricolore italiano. La sconfitta di Novara dell'esercito di Carlo Alberto, ebbe gravi conseguenze anche per la Sicilia. Il Re Ferdinando Il, inviò l'esercito al comando del generale Filangeri, che dopo una dura repressione, riconquistò la Sicilia.
Rosa Donato torna a Messina e viene subito catturata e imprigionata, rimanendo in carcere per circa 15 mesi. Negli anni '50, una volta uscita dal carcere, la stessa vive di elemosina. La chiede solo agli studenti universitari, nei quali vedeva la speranza del futuro. Raffaele Villari storico, racconta che a chi le dava una moneta, lei gli baciava la mano, e qualcuno diceva che al contrario dovevano essere gli altri a baciarle la mano. Nonostante il fallimento della rivoluzione, Rosa Donato rimane viva nella coscienza dei messinesi. Una donna ormai presa dall'amarezza e dalla povertà. Nel 1860 ci si ricorderà delle sue gesta, ricompensandola con un piccolo sussidio, ma nulla di straordinario. Morirà in umili condizioni nel 1867.
Per ricordarne le gesta lo scultore Vincenzo Gugliandolo scolpì nel 1893 un suo busto in marmo, oggi collocato all"'Unicredit" del Viale Garibaldi, all'interno, subito dopo l'entrata principale. Virgilio Saccà incise una lapide, in Via Primo Settembre che recita così: "Dina e Clarenza eroine della Guerra del Vespro, ebbero nel 1848, su questa via e al Forte dei Pizzillari, emula gloriosa, l'artigliera del popolo Rosa Donato".
Rosa Donato

Today we celebrate the 150th anniversary of the Unification of Italy, recalling the great personalities who through their commitment, with their ideals and often with their sacrifices, realized it: Conte di Cavour, Massimo d'Azeglio, Filippo Buonarroti, Carlo Pisacane ....

Many women participated at the great movement of revival and rebirth of National Consciousness, that was the Renaissance: the Countess of Castiglione, Cristina Trivulzio of Belgioioso. And then Adelaide Cairoli, Giuditta Sidoli, Ribeiro Anita Garibaldi ... ,

Among the women who participated actively taking up arms, to the streets, fighting alongside men, we remember, a simple figure and lowly commoner, Rosa Donato.
She was boro in Messina in 1808 and died there in 1867.

Rosa Donato was about twelve years old when the first revolution broke out in 1820 and she was present at these events.
She saw also repression in 1822 when nine people are sentenced to death in Messina, at the conclusion of these rebellions.

At the outbreak of the revolt, on 29th January 1848, she took to the road and luckily got a small cannon to the Bourbon soldiers, together with the Lanzetta, and they were shooting at them.
Having proved to be entirely worthy of the value of a man, on the summer of '48 she was awarded the rank of caporal with hat and scarf tricolor necklace, and was placed in command of the battery "pizzillari, located near the stream Portalegni with the task of defending to the death the walls to the north-west of the city.
When she could no longer maintain her position, set fire to the ammunition dump, killing many Bourbon soldiers, and she was thrown down from the walls with bayonet blows.
Pretending to be dead, fled to Palermo, where the Liberation Committee, composed by Giuseppe La Masa, Rosolino Pilo, Giacinto Carini, gave her two pieces of artillery.
In that occasion, Giuseppe La Masa lifted up the Italian flag, the tricolor.
The defeat of Novara Army of Charles Albert, had serious consequences for Sicily too.
King Ferdinand II sent an army under the command of General Filangeri, after a crackdown, reconquered Sicily.

Rosa Donato returned to Messina and was immediately captured and imprisoned, remaining in prison for about 15 months.
In the '50s, once out of prison, she lived on alms.
She calls only to the university students, in which she saw hope in the future.
Raffaele Villari historian, says that to those who gave her a coin, she kissed their hand, and someone said that on the contrary would be others to kiss her hand.
Despite the failure of the revolution, Rosa Donato remains alive in the consciousness of the people of Messina. A woman already taken by poverty and bitterness.
In 1860 the town of Messina gave her a small pension, but nothing extraordinary. Died in humble circumstances in 1867.

To commemorate the deeds, the sculptor Vincenzo Gugliandolo in 1893 made a bust sculpted in marble, now located in the 'Unicredit Bank"ofViale Garibaldi, inside, just after the main entrance.
Virgilio Saccà a plaque engraved in Via Primo Settembre, reads:
"Dina and Clarenza, heroines of the War of the Vespers, had in 1848, in this way and in Forte dei Pizzillari, emulator glorious, "The Artillery of the People", Rosa Donato.

venerdì 1 aprile 2011

Le “Casermette San Paolo”

(Dal racconto di Petit Jean, profugo dalla Tunisia nel 1959)

L
a memoria del treno che va è sempre nei ricordi reconditi della mente. Il ritmo sincopato delle ruote che scorrono sui binari, accompagna come una colonna sonora, il film che attraverso i finestrini si proietta davanti ai miei occhi. Scorrono paesi, campagne, spiagge, stazioni, gallerie. Ore interminabili. Alla partenza, un ragazzo, subito fuori dalla stazione, aveva gridato un saluto nella lingua dei padri, che non avevo più dimenticato.
Giunti alle Casermette trovammo la zia che ci attendeva, offrendoci metà della sua stanza, divisa da un tendone, e delle persone napoletane che l’avevano accolta ed aiutata, quando era giunta, per prima, a Torino, col suo promesso sposo. I padrini di battesimo del loro primo figlio. Fu proprio il compare Gerardo e la comare Maria ad accoglierci gentilmente e a farci coraggio. Quella lingua napoletana mi ricordava i film di Totò e le commedie di Edoardo De Filippo.
Quanta umanità, in quelle semplici e povere persone! Il loro sorriso e la loro forza d’animo, ci infondevano coraggio e speranza nel futuro.
Un senso di sgomento, di vuoto, di apprensione, mi prese quando giunsi in quel luogo.  Dormivo su una branda provvisoria, scomoda perché a metà, un asse, faceva male alla schiena. Il cibo era poco. Non avevo più gli amici con cui condividere la vita. Il vuoto mi circondava. I nuovi conoscenti, generosi e fraterni, non riempivano la mia  solitudine. Sei lunghi anni sono stati rimossi dalla mia mente. Poco  è rimasto, nel ricordo,  del vivere quotidiano alle Casermette dal 1959 al 1966.
Dopo un breve periodo, ci assegnarono una stanza. I padiglioni delle casermette erano bui e tetri. Le camere dove alloggiavano le famiglie stavano allineate a destra e a sinistra di un lungo e scuro corridoio. In fondo ad esso c’erano i lavabi e i servizi igienici. Nella stagione invernale non erano riscaldati, e si doveva fare in fretta a lavarsi e a fare i propri bisogni. All’interno delle camere c’erano dei divisori per creare un po’ di riservatezza tra i  diversi membri della famiglia. Una stufa di ghisa, a carbone coke, procurava un po’ di tepore. Dietro la nostra porta aveva trovato dimora un cane lupo di nome Rocky, divenuto la nostra mascotte, che faceva la guardia in cambio di un po’ di cibo.
Avevamo conosciuto un signore veneto che aveva perso l’uso delle gambe nella campagna di Russia. Si muoveva su una carrozzina per invalidi e, a volte, andava a chiedere l’elemosina davanti alla Chiesa di Santa Rita. Noi, la domenica mattina, andavamo a Messa e lo accompagnavamo, spingendo la carrozzina, lungo corso Sebastopoli. Alla fine della Messa, regalava caramelle ai bambini, mentre lo riaccompagnavamo a casa. In una fredda mattina d’inverno ci invitò a mangiare il Gulash in una vecchia piola, alla Crocetta. Nonostante le sue condizioni, era un uomo sereno ed aveva un sentimento di ottimismo nell’affrontare la vita, che comunicava a chi gli stava vicino. Andavamo spesso ad ascoltare i suoi dischi, nella stanza del suo Padiglione. Zanìn era un appassionato di Luciano Taioli.
Leggendo gli annunci economici  su “La Stampa”, trovai presto lavoro presso le officine “Rasero”, in strada del Cascinotto, nei pressi della “Barca”. Partivo con il primo autobus da Città Giardino, intorno alle cinque del mattino, con la prima corsa. A Porta Nuova prendevo un altro autobus e giungevo a Piazza Sofia, dove  faceva capolinea. Poi a piedi, percorrendo Strada di Settimo, dopo circa venti minuti giungevo alla Strada del Cascinotto intorno alle sette. Fu un inverno freddo, con la neve e molte giornate di nebbia fitta. Avevo un impermeabile chiaro e delle scarpe bianche leggere che tutti guardavano.  Osservavo le case calde e confortevoli che, in grandi edifici,  scorrevano davanti a me, mentre procedevo. Chissà se anch’io, un giorno, avrei potuto avere una casa come gli abitanti di quella antica e nobile città che mi ospitava. Camminando, rivolgevo il pensiero e una preghiera a Dio, in quella grande e immensa Chiesa che è la Strada.

Gaetano Donato