mercoledì 2 ottobre 2013

Breve ricordo di "Fonderia Caratteri". (Una Fabbrica d'altri tempi.)

Mi recai in Fonderia Caratteri, Via Bologna, 47, al secondo piano, alle 9 del mattino, il 7 Luglio del 1963. Entrando vidi le macchine fonditrici allineate lungo il reparto, al centro e ai lati, vicino alle grandi vetrate, che da una parte davano su Via Padova, dall’altra sul cortile interno, dove, in aiuole ben curate, alcune piante, tra cui una magnolia sempre verde dai fiori bianchi,   facevano bella mostra di se.
Le macchine che fondevano i corpi piccoli erano le più veloci e rumorose con ritmi che andavano oltre i duecento colpi al minuto.
Man mano che si andava dal corpo sei verso i corpi più grossi la velocità andava diminuendo. Corpo sei, corpo 10, 12, 14, 16...., fino al corpo 72 che assestava colpi poderosi e lenti.
 L’atmosfera era permeata da una leggera nebbiolina che fuoriusciva dai crogioli, dove i lingotti, fatti di una lega di piombo, stagno, antimonio, zinco..., lentamente si consumavano, man mano che si trasformavano da materia grezza, in piccoli perfetti caratteri mobili da stampa.
Nell’aria si avvertiva l’odore dolciastro del metallo fuso. La temperatura di fusione  di quattrocento gradi centigradi  era mantenuta da una resistenza elettrica regolata da un termostato.
Il nostro elettricista, Battista Benozzi, era un esperto e costruiva le resistenze per i crogioli ed i bocchini, appendici che dal crogiolo portavano il materiale fuso, mediante l’accoppiamento di una piastrina forata (paletttina), alla macchina fonditrice.
Prima dell’utilizzo dell’energia elettrica, nelle prime fonderie di caratteri, i crogioli erano scaldati con la fiamma di gas combustibili e la temperatura era regolata dal fonditore che osservava la fluidità ed il colore del materiale.
 Ebbi un primo colloquio col dott. Camera, direttore di Fonderia Caratteri, che mi espose il punto di vista dell’azienda, che riteneva il mio titolo di studio, (Liceo Classico), non idoneo al tipo di lavoro che avrei dovuto affrontare. Da parte mia ribadii che avevo bisogno di lavorare e promisi di restare almeno due anni per ripagare la società dell’onere che avrebbe sostenuto per istruirmi. Rimasi poi 17 anni in fonderia caratteri ed altrettanti in fabbrica macchine.
Mi recai quindi in Fonderia, dove il sig. Giovanni Montarolo, Cavaliere del lavoro, Capo Reparto di Fonderia Caratteri mi illustrò gli aspetti tecnici ed economici del lavoro di fonditore, nonché l’ambiente della fonderia, che avrei conosciuto col tempo.
L’ufficio del sig. Montarolo era una struttura costituita da vetrate trasparenti, a forma di cubo, situato circa a metà del lungo corridoio.
 Seduto dietro la sua scrivania, alla luce di una lampada da tavolo, controllava la “linea” ai fonditori che iniziavano un nuovo lavoro.
Questa era un’operazione molto accurata, per accertare che i caratteri della nuova fusione fossero perfettamente in linea con i campioni di magazzino e con i lavori precedenti già in possesso dei clienti.
        
 La “Giustificazione” (così si chiamava l’insieme dei caratteri campione), era costituita dalla “m” ed dalla “o” minuscole (il minuscolo veniva denominato “bassa cassa”), con cui venivano allineati i caratteri contenenti aste e tondi, da “H” ed “O” maiuscole per le lettere maiuscole, dal "punto" per la puntuazione (.,:;!? ecc.)             
Veniva anche controllato lo spessore del corpo (forza di corpo), lo spessore del carattere, la distanza (approche), il piano dell’occhio e la qualità della fusione.
 Il mio primo maestro fu Giuseppe Bertinotti, un anziano addetto alla fusione della spaziatura.
 Da lui appresi la conoscenza delle macchine fonditrici e delle misure tipografiche.
 La spaziatura, come dice la stessa parola, era costituita da spazi che il tipografo interponeva tra una parola e l’altra quando componeva una pagina.         
 Aveva le stesse dimensioni dei caratteri con cui era accoppiata, non aveva l’occhio ed era importante la misura dello spessore in punti tipografici Didot o Pica.
 Bertinotti mi parlava della vecchia Nebiolo, dei vecchi compagni di lavoro, delle opportunità che avrei avuto se mi fossi impegnato ad imparare il mestiere di fonditore.
Raccontava della Nebiolo degli anni della sua gioventù, dei suoi compagni di lavoro. A volte, guardando fuori dalla finestra, su Via Padova, ricordava come aveva visto nascere le case intorno alla fabbrica, di quello che era poi chiamato il borgo dei fonditori.
Infatti, chi lavorava in Fonderia Caratteri, abitava nelle vicinanze, in modo da andare a casa a mangiare nelle due ore disponibili per il pranzo.
Rimasi circa due mesi nel reparto spaziatura, per acquisire una certa padronanza nella manipolazione dei caratteri che venivano allineati, quando già venivano fuori dalla macchina fonditrice, su dei listelli di legno sagomato con un piccolo bordo, chiamati compositoi.
Divenni, quindi,  allievo fonditore di caratteri, assieme ad altri ragazzi, assunti quasi
contemporaneamente in quel periodo.
Il periodo di apprendimento era di 18 mesi per i ragazzi che avevano fatto le scuole ad indirizzo tecnico, di 27 mesi per gli altri
Formavamo una squadra di circa 10 allievi fonditori, istruiti da un maestro di nome Frangimondo Mannucci, toscano.
Il sig. Mannucci svolgeva il suo compito con solerzia e con passione, ora gentile ora burbero, cercando di trasmetterci quelle “malizie” che erano il segreto per riuscire nel mestiere e che si acquisivano con l’esperienza accumulata giorno per giorno.
Le macchine fonditrici, lavorando a caldo, erano soggette, a delle pur minime variazioni di temperatura (i fonditori più anziani dicevano che sentivano il tempo atmosferico).
Il fonditore osservava, intuiva ed interveniva, regolando la velocità della macchina in base allo spessore della lettera (più veloce per i caratteri sottili come la “i”, la “1” bassa cassa, il punto, la virgola  più lenta per la “m” o la “w” o i dittonghi “æ” ed “œ”...), regolando il flusso d’acqua che raffreddava le parti meccaniche, visibile attraverso una spia, la temperatura di fusione del crogiolo, la temperatura del bocchino con apposita resistenza e la sua perfetta messa a punto (pulizia interna da eventuali scorie, forellino di emissione con diametro adeguato allo spessore della lettera, spessore atto a mantenere la temperatura di fusione, perfetto accoppiamento tra bocchino, palettina e macchina.
La palettina era una piastrina forata che si interponeva tra il bocchino e la macchina.
Era importante il perfetto accoppiamento con il bocchino, da una parte e con la macchina dall’altro.
Era determinante il suo spessore e il forellino che poteva essere uguale o leggermente inferiore a quello del bocchino. Uno spessore troppo elevato della palettina o del bocchino, un cattivo accoppiamento, potevano causare l’interruzione della fusione o una cattiva qualità della stessa.
 La conoscenza e l’efficienza della macchina era necessaria per realizzare dei tipi da stampa perfetti le cui caratteristiche erano: allineamento, approche, piano dell’occhio, spessore, forza di corpo, qualità della fusione. In un secondo tempo i caratteri venivano portati al reparto taglio e appretto, dove veniva tagliato il piede del carattere nel punto dove si era rotto il boccame, mediante un apposito attrezzo.


 Se occorreva venivano ancora portati nel reparto “creneria”, dove delle ragazze esperte eseguivano un’operazione mediante la quale veniva asportato, con l’utilizzo di una fresa, una porzione di occhio del carattere che fuoriusciva dall’occhio stesso (vedi caratteri corsivi, o altri caratteri che imitavano la scrittura a mano, in special modo l’Inglese che veniva tutto trattato in “creneria”).
Dopo essere passati dal reparto appretto, dove operavano generalmente dei fonditori divenuti anziani che controllavano la perfezione di tutte le caratteristiche, i caratteri venivano portati nel reparto abbassatura per l’ultima operazione che consisteva nel fresarli all’altezza voluta dal cliente.      
Quindi, nel reparto magazzino, le impaginatrici impacchettavano i "minimi" richiesti dal cliente e quelli destinati al magazzino.
A volte accadeva che per una non perfetta aderenza della matrice al piano della macchina, si verificava la fuoriuscita accidentale di piombo fuso che veniva spruzzato all'esterno, provocando degli effetti poco piacevoli.
A farne le spese era anche il sig. Mannucci. Nei suoi occhiali e sul suo grembiule nero spesso si depositavano delle spruzzate, dovute anche alla nostra imperizia, che creavano dei ghirigori e dei ricami metallici.
Del sig. Mannucci ricordiamo la sua arguzia, l’ironia, il parlar toscano (era orgoglioso di esserlo: più di una volta citò le tre colonne della lingua italiana: Dante, Petrarca e Boccaccio) e poi la sua professionalità e serietà.
Ci invitava qualche volta a casa sua, la sera,  a fare quattro chiacchiere ed a bere un bicchierino.
La nostra era la nuova generazione di allievi fonditori non prevalentemente piemontese  della Fonderia Caratteri della Nebiolo. C'erano veneti, torinesi, emiliani di Comacchio, siciliani, piemontesi di Savigliano, di Manta, pugliesi, un indiano di Bombay, ed altri.
E’ stato un bel periodo della nostra vita che ricordiamo con piacere, quando abbiamo occasione di rivederci.
I fonditori anziani da anni ormai lavoravano alla Nebiolo, quasi tutti piemontesi, persone con grande  professionalità, serietà ed onestà nella vita e nel lavoro che ricordiamo sempre con affetto.
Il tutto formava un ambiente di lavoro piacevole nonostante i lati negativi che quest’attività comportava: lavorazione, fusione e manipolazione del piombo, ambiente con temperature abbastanza elevate, specialmente nei mesi estivi (il piombo fondeva alla temperatura di 4000C, nei crogioli che ciascuna macchina fonditrice aveva nella parte posteriore) , rumorosità delle macchine.        
Si osservavano delle norme igieniche, per prevenire eventuali intossicazioni da piombo. Non tutti potevano fare il mestiere di fonditore di caratteri. All’atto dell’assunzione veniva fatta una visita medica presso un ente preposto. Veniva esaminato il sudore emanato dalle mani dell’aspirante fonditore, e, nel caso che la qualità del sudore fosse di natura molto acida, si veniva scartati. Infatti toccando i caratteri si potevano lasciare delle impronte indelebili e corrosive sul corpo degli stessi.
Ogni tre mesi si effettuavano delle visite di controllo. Qualcuno più sensibile di altri alla vicinanza del piombo doveva lasciare la fonderia.

























Al secondo piano c’erano anche i Reparti:  “Filetteria”, "Incisone", la “Creneria”, il “Taglio”, l’“Appretto”, il “Magazzino Matrici” e gli  Uffici Amministrativi.
Al piano terreno c’erano  i Reparti: “Abbassatura”, “Impaginatrici”, “Magazzino Spedizioni ed Imballo”, "Rifusione degli scarti", spogliatoio con servizi e docce.
Nell’ora della refezione, chi per motivi di lontananza non si recava a casa, poteva usufruire della mensa, dove era servito un primo piatto (il secondo si portava da casa).
Con alcuni allievi di Fonderia Caratteri, avevamo stipulato una convenzione con la Trattoria Bologna, nella omonima via, che ci forniva il pasto completo al costo di £ 350 (circa un’ora di lavoro).
Era un ambiente accogliente dove si recava tanta gente che lavorava nei dintorni ed anche molti camionisti.
Dopo il pranzo si andava nei locali del Circolo che si trovavano in una palazzina di Via Bologna, dove c’era un bar, un locale con due bigliardi, dei tavolini con delle sedie, dove si attendeva l’ora della ripresa del lavoro.
Qualcuno che veniva da lontano e che si alzava molto presto, come i nostri compagni che venivano da Saluzzo o Savigliano che si svegliavano alle quattro del mattino, poggiando la testa su un tavolino, cercavano di recuperare un po’ di energie.
Ma non sempre ci recavamo nei locali del Circolo. Andavamo spesso a giocare a scala quaranta in un bar di Corso Novara,   dove trovavamo delle ragazze che lavoravano nella fabbrica di borse e valige, “Ragazzoni”, con le quali eravamo diventati amici.

C’erano anche altri locali dove si recavano operai e impiegati di altre ditte ubicate nelle vicinanze.
Il bar Nadia di corso Brescia, e "piola" di Mariuccia in Via Padova, dove si recavano spesso gli operai della ditta “Pastore”.
Nel bar di Corso Novara ed in estate nei giardini dello stesso corso, incontravamo le operaie della ditta del “Dottor Gibod”, della “Manifattura Rosy”, delle confezioni “IBAC”, gli operai della fabbrica di ossigeno “Rivoira”, e del caffè “Lavazza”.
Dopo alcuni anni, quando la maggioranza dei dipendenti non abitava più nella zona vicino alla Fonderia, vincendo le resistenze comprensibili degli anziani, dopo aver fatto due referendum, si ridusse la pausa ad un’ora per uscire prima la sera.
Ogni anno il Circolo Nebiolo organizzava una gita sociale di livello qualitativo molto elevato. Si visitavano paesi stranieri o località italiane, usufruendo di mezzi di trasporto (aerei, treni, navi, pullman) ed alberghi di buona qualità. Si pagava una quota, già ridotta per la partecipazione della Società, anche a rate, con piccole trattenute sulla busta paga. Ricordo, ad esempio la gita in aereo in Olanda, con visita delle maggiori città come Amsterdam, l’Aja, Rotterdam, Harlem…Visite alle fattorie dove si produceva il classico formaggio olandese "Gouda" o l'"Edam", con la scorza rossa, il taglio dei diamanti, la coltivazione dei tulipani, le ceramiche di Delf, la grande diga del nord, i locali notturni….
Un’altra bella gita fu quella fatta in aero a Vienna, quella in treno al villaggio turistico Valtur di Ostini, in Puglia, con visita alle grotte di Castellana e ai Trulli di Alberobello, con vita notturna in locali dove si suonava, ballava e si assisteva a spettacoli di varietà. Da ricordare anche la gita a Brucoli, in Sicilia, con un volo charter da Caselle a Catania Fontanarossa, ospiti del locale villaggio turistico Valtur
Era un’abitudine consolidata dei fonditori di organizzare una volta l’anno un pranzo cosiddetto “Selvaggio”.
Durante l’anno passava Sergio Bernardi a raccogliere 100 lire a settimana a persona.
Poi nel periodo estivo, un sabato o una domenica, si andava in località campestri a consumare il pasto, che generalmente era a base di "bagna cauda" ed altre specialità piemontesi, accompagnate con ottimo ed abbondante vino.
La sera il ritorno a casa era sempre problematico.
Dai vecchi fonditori era stata creata, negli anni addietro, una cassa mutua interna che interveniva per la cura dei denti e degli occhiali da vista.
Quando fui assunto alla Nebiolo, nel 1963, non c’era la Commissione Interna.
I vecchi fonditori (Bertinotti, Mannucci….) raccontavano di una profonda crisi che aveva attraversato l’azienda negli anni precedenti.
Avevano lavorato per un lungo periodo (3 anni?) senza percepire stipendio, facendo grandi sacrifici, debiti nei negozi di alimentari ecc.
In un secondo tempo la Società Nebiolo aveva saldato i debiti, dando anche, per chi accettava,  azioni della società.
Trascorsi alcuni anni, decidemmo di comune accordo, per avere un rapporto più diretto con la direzione, di creare quelle che allora si chiamavano R. S. A. (Rappresentanze Sindacali Aziendali), che venivano eletti tra gli iscritti alle tre organizzazioni sindacali.
Con la collaborazione degli anziani (Bernardi, Marmetto, Bay, Moscatelli, Pagliano…), ognuno di noi diede l’adesione ad un sindacato, per poi eleggere tra gli iscritti i tre rappresentanti. Le maggiori tendenze politiche tra le maestranze erano rivolte all’area socialista e cattolica. Per poter avere tre rappresentanti, si convenne di iscriversi alle tre confederazioni, indipendentemente dalle idee politiche.
Si convenne che le cariche, per quanto possibile, sarebbero state a rotazione, per distribuire tra più persone, il peso e la responsabilità dell’incarico.
La nostra attività, attraverso gli anni, , può essere così riassunta:
Equiparazione del premio di produzione delle donne a  quello degli uomini.
Istituzione delle visite periodiche per il controllo del piombo nell’organismo (Saturismo), dopo uno studio fatto in sede sindacale, riferendoci ad un’analoga esperienza fatta dal sindacalismo inglese.
Istituzione del premio di produzione annuale (futura quattordicesima).
Gestione del contratto di lavoro dei Grafici, Poligrafici e Cartai.
Per ultimo lo scorporo di Fonderia Caratteri dalla Nebiolo, con conseguente trasferimento di alcuni dipendenti dalla fonderia a Fabbrica Macchine a Settimo.
Quest’ultima è stata l’esperienza più amara e dolorosa del mio periodo di permanenza in Fonderia Caratteri. Dopo molti anni veniva chiuso uno stabilimento che per la sua importanza e per la sua produzione era stato famoso a livello internazionale.
Gli anni della nostra gioventù erano trascorse tra quelle mura e lasciavamo tutti un po’ di noi stessi in quei luoghi.
La trattativa si svolse all’Unione Industriale di Via Fanti e fu condotta per noi da Sartoretti. Per la Società Nebiolo era presente il geometra Gherardi ed il dott. Manzoni. Fu data la possibilità di scelta se rimanere nella futura fonderia o essere trasferiti a Settimo. Per quanto fu possibile, furono considerati tutti i casi personali, tenendo conto delle professionalità di ognuno. Ebbero meno problemi coloro che avevano un titolo di studio e svolsero un lavoro da impiegati. I nostri meccanici della manutenzione, si ambientarono subito nel nuovo lavoro.
Per gli altri si convenne in sede di trattativa che avrebbero frequentato dei corsi di riqualificazione.

Mi iscrissi, in seguito, ad un corso di disegnatore meccanico progettista, presso la "Scuola Radio Elettra" (allora famosa a Torino), che mi aiutò moltissimo nel nuovo lavoro.     
Al termine della trattativa, demmo le dimissioni dal nostro incarico sindacale ed affrontammo la nuova vita.
Il mio ultimo lavoro fu la fusione del carattere “FORMA” serie tonda neretta 420 – 10 corpo 5/6.
Il giorno 2 ottobre 1978, con alcuni colleghi e compagni di lavoro, ci trovammo in  Via Fiocchetto, alla stazione dei pullman extraurbani, dove prendemmo  il pullman che ci portava verso lo Stabilimento di "Fabbrica Macchine", in Strada di Settimo, 323, per iniziare una nuova attività ed una nuova, bella avventura, che avrebbe arricchito la nostra vita e lasciato in noi dei lieti,  a volte nostalgici, a volte tristi ricordi.


Fonditore di Caratteri e
Montatore di Macchine da stampa offset
Gaetano Donato


Di seguito riporto il testo di un articolo del Sig. Michele Fenu, che ben illustra la Fonderia Caratteri della Soc. Nebiolo di quegli anni:

Conoscete la Nebiolo? la Fonderia Caratteri

Una volta, ai maestri tipografi era con­cesso dai principi regnanti l’onore di por­tare al fianco lo spadino, simbolo della nobiltà dell’arte professata.
Erano, al tem­po stesso, disegnatori, incisori e fonditori dei caratteri che adoperavano. Qualcuno, più intraprendente degli altri, si faceva anche editore e commerciante delle sue stesse edizioni.
 Ricordiamo un tipico qua­dretto del 1500: un forno per la fusione della lega, un crogiuolo in cui fiammeg­gia. il liquido incandescente, e, a un pas­so il maestro fonditore.
Ha in mano un piccolo mestolo ricolmo di metallo: fra un attimo, lo verserà nella forma, a riempire la cavità della matrice. E’ un maestro di quelli bravi: in un’ora otterrà circa 400 pezzi fusi.

Oggi di principi regnanti ne sono rima­sti pochi, e gli spadini si vedono soltanto alle sfilate militari.
Sono spariti anche i maestri tipografi (almeno nel senso an­tico del termine), e gli stanzoni neri di piombo in cui lavoravano. Ma qualcosa è rimasto, il più importante: le fonderie di caratteri e la certezza, in coloro che vi operano, di creare oggetti in cui coesi­stono ispirazione artistica e tecnica raffi­nata.
In materia, uno degli esempi più validi è dato proprio dalla Nebiolo, nata nel 1852 come Fonderia Caratteri. Questa la base, questa la partenza, che molti, di fronte alle attuali dimensioni della Società, dimenticano o, forse, non sanno.

La Nebiolo d’oggi rivolge la sua atten­zione in molti e differenti settori del mondo grafico, la fonderia caratteri è diventata una parte del tutto, una sezione incastonata nel complesso.
Una Sezione tutta particolare, più piccola di altre, ma. autosufficiente: la produzione, cui concorrono circa 160 dipendenti, è a ciclo integrale.
Quasi una fabbrica nella fabbrica, con alle spalle un patrimonio di esperienza unico, quale possono dare so­lo cento e più anni di studio e di attività. Sezione “piccola”, abbiamo detto, ma tutto è, naturalmente, relativo.
Basti pen­sare che il suo magazzino è costituito da 60 milioni di pezzi, per un peso di 450 mila chilogrammi, che il reparto incisio­ne matrici ha una capacità di produzione annua di 16 mila unità (ve ne sono in deposito circa 470 mila, alcune risalenti a 50 anni fa: anche il cliente più con­servatore può essere accontentato!), che vi sono decine e decine di macchine e im­pianti speciali per ogni fase della produ­zione, e che la produzione stessa com­prende non solo i caratteri, ma anche i filetti ed i bianchi tipografici.

Una produzione che, grosso modo, è  arti­colata in sette tappe, che si svolgono tutte nella sede della Nebiolo di via Bo­logna.
 I caratteri nascono e partono per il mondo da due grandi saloni principali, situati su due piani diversi dello stabili­mento.
Abbiamo lo studio artistico, l’in­cisione matrici, la materia prima per la fusione, la fusione, l’abbassatura, la preparazione polizze, l’imballaggio e la spe­dizione.
In sè e per sè, lo studio artistico è una fase preparatoria alla lavorazione mate­riale del carattere, ma ci sembra più op­portuno unirla ad essa, in quanto facente parte dello stesso filone, dello stesso pro­cesso che porta dall’idea, dal disegno alla realizzazione concreta.
Del resto, se negli ultimi quarant’anni la produzione della Fonderia ha fatto registrare significativi incrementi, lo si deve non solo all’altis­sima qualità del prodotto, ma anche al suo stile, alla sua vitalità, alla sua ade­renza con i tempi. Non è certo soltanto per... simpatia verso la Nebiolo che, in Italia e all’Estero, artisti grafici, tipogra­fie, agenzie di pubblicità, ecc. danno la, preferenza ai caratteri che escono dalla. Fonderia di Torino.

  Questa ha sempre avuto fra i suoi colla­boratori i più abili specialisti dell’arte grafica. Impegno costante dello studio ar­tistico è di perfezionare i metodi di ri­cerca, analisi e sviluppo delle forme degli alfabeti.
Un “gruppo di lavoro” si è dedicato con passione all’esame della for­ma attuale dei caratteri e alla previsione di quello che potrà essere in futuro.
Sono ricerche sottili, difficili, che però, in pa­rallelo con l’avanzamento tecnologico-costruttivo dei caratteri, mantengono al vertice la Fonderia.
Nello studio artistico sono occupati in permanenza sei tecnici, fra cui un foto­grafo.
Il suo impiego fa risparmiare mol­to tempo nelle prove di accostamento e di confronto dei caratteri.
C’è una piccola camera oscura, due o tre stanze. Alle pa­reti, in un giocondo inseguirsi di colori, manifesti, stampe, enormi disegni.
Voca­li, consonanti, parole si mescolano as­sieme, dando veramente all’ambiente una vaga aria “bohèmienne”.

Ma basta fare pochi passi, un breve corridoio, per entrare nel regno della tecnica, dove la ispirazione del grafico, condensata in ela­borati disegni, si traduce finalmente nel­la minuta, eppur solida, metallica con­cretezza del carattere.
Eccoci nel cuore della Fonderia, nel re­parto incisione matrici. Peter Schòffer, incisore socio di Gutenberg, che ideò il sistema del punzone e della matrice, non crederebbe ai suoi occhi.
E forse non pre­sterebbe fede a chi gli dicesse che il me­todo, in fondo, è sempre lo stesso.
Ma non avrebbe torto a dubitare: che cosa porrebbe sapere, poveretto, di pantografi, ingranditori di profili, microscopi di pre­cisione, microscopi per il controllo delle matrici durante l’incisione e di tutte le altre particolarissime attrezzature che rendono il reparto uno dei più forniti del mondo?
I pantografi, per esempio.
Shòffer inci­deva la lettera, in rilievo, su un punzone d’acciaio e, quindi, lo batteva su un blocchetto di rame, ottenendo l’impronta in incavo, ossia la matrice. Ora, sono i pantografi a svolgere il lavoro di incisione riproducendo perfettamente il disegno. Questi dispositivi non sono certo un’invenzione di ieri, ma i dodici in uso alla Nebiolo (vertica1i tipo Benton, alcuni azionati da motori ad alta frequenza che  compiono sino a 30 mila giri al minuto adottano utensili di caratteristiche avanzatissime, i più moderni ed efficienti che si conoscano nel settore.
Si tratta di uten­sili in carburi metallici affilati con accor­gimenti speciali che assicurano la durata del filo tagliente per l’incisione dell’in­tero corpo, con la garanzia di un’assoluta fedeltà all’originale e di un’eccezionale costanza del profilo e della forza d’asta dei segni alfabetici.
Il reparto, oltre all’incisione delle matrici per i nuovi disegni dei caratteri, prov­vede alla manutenzione di quelle bru­ciate o alterate nel corso della fusione.
Inoltre, esiste un impianto per la forma­tura elettrolitica delle matrici che hanno caratteristiche di forma particolari.
Il ri­sultato finale, in ogni caso, è sempre lo stesso: matrici perfette, almeno per quanto è umanamente possibile rea­lizzare.
E pensate che possono essere incise lettere alfabetiche da corpo 0,3 p (~ 0,112 mm) a corpo 120 p ( 45 mm), con un rapporto da 1 a 400. Ogni anno, in media, vengono prodotte circa 12 mila matrici.
 Il magazzino, co­me abbiamo già accennato, ne contiene 470 mila. Sono disposte in bell’ordine in armadi di legno dai mille cassettini, 120-130 matrici per ogni corpo.
Nello stesso salone che ospita il reparto incisione matrici c’è quello destinato alla fusione. Anche qui il nostro amico Schòf­fer strabilierebbe. File e file di macchine fonditrici (sono 120) operano ad un rit­mo incredibile, accoppiate ad una nutrita serie di controlli di qualità, che per la Fonderia costituiscono un vero punto di orgoglio.
Si comincia con la materia pri­ma, ossia con la lega o le leghe da impiegare, composte, in varia proporzione da piombo, stagno e antimonio.
Devono offrire una duplice garanzia: risponde al massimo possibile alle esigenze di lavorazione e mantenere costantemente il loro livello qualitativo. Non si creda che un identico tipo di lega vada bene per ogni carattere.
Alla Nebiolo ne sono adottati cinque e, ogni volta, con la collaborazione di tecnici specializzati, con prove di laboratorio, prove-macchina e prove-stampe, si stabiliscono i tipi da usare in funzione del ca­rattere da fondere. La Fonderia ha la esclusivirà di una lega unica nel suo ge­nere, una lega che ha raggiunto la mas­sima durezza conosciuta nel settore delle leghe da stampa per caratteri mobili.
Ri­sultato: si possono svolgere lavori ecce­zionali, dove si richiede un elevatissimo grado di resistenza all’usura.
 A parte i normali controlli di laborato­rio, la Nebiolo fa compiere, metodica­mente, analisi ufficiali all’Istituto tecnico industriale “Luigi Casale” di Torino, ed all’Istituto di Ricerche Breda di Mi­lano dalle quali emerge un dato di fatto continuamente confermato: la costanza
qualitativa chimico-fisica delle leghe im­piegate e la tendenza al miglioramento delle loro caratteristiche, anche se pare impossibile visti i risultati già conseguiti.

Le macchine.
Qui, ormai, si è raggiunto il vertice del progresso; potranno, in fu­turo, cambiare piccoli particolari, ma non è possibile realizzare macchine fon­ditrici migliori di quelle utilizzate nella Fonderia.
Si tratta di modelli semi-automatici universali a lama, in grado di fon­dere nei sistemi Didot e Pica e, quindi, di produrre caratteri per i paesi europei e di lingua inglese.
Come capita sovente alla Nebiolo, queste macchine sono state modificate dai tecnici della Società, sulla base di un’esperienza e di un’intrapren­dente ingegnosità, piuttosto tipiche.
Le fonditrici presentano numerosi accor­gimenti interessanti, dall’alimentazione automatica della lega al crogiolo con ri­scaldamento elettrico a termo-resistenze sommerse, sino al controllo automatico della temperatura, mediante “comando di potenza a stato solido” cioè un siste­ma elettronico di parzializzazione della energia richiesta.
E’ il primo e unico di­spositivo del genere ad esser applicato, in campo internazionale, a macchine di questo tipo.

Accanto ad esse lavorano i moderni di­scendenti di mastro Schoffer.
Silenziosi, ordinati, in una tranquilla atmosfera in­dustriale, non hanno davvero più molti punti in comune con Herr Schòffer, an­che se,  come lui e salve le debite pro­porzioni,  possiedono tutti i segreti del­l’arte di fondere.
E’ gente che, oltre alla preparazione teorico-pratica, segue i fre­quenti corsi aziendali di istruzione e di aggiornamento tecnico, sotto la guida del maestro “primo fonditore”, un perso­naggio che trae le sue origini nei secoli passati.
A questi uomini così esperti, alla straordinaria qualità delle materie prime impiegate, si aggiungono tre diversi col­laudi, eseguiti prima, durante e alla fine del processo produttivo.
 E non basta: c’èanche un quarto controllo, di cui si inca­rica la “Tipografia sperimentale” della Nebiolo.
E un controllo sistematico di qualità, sulle caratteristiche generali e sulla resistenza all’usura dei caratteri, che stabilisce inoltre delle precise com­parazioni con il lavoro delle altre fon­derie.
E’ un complesso di verifiche che garantisce una produzione di circa 50 mi­lioni di pezzi all’anno.

A complemento del reparto fusione, nel­la Fonderia è organizzata un’altra sezio­ne, incaricata dell’abbassatura dei carat­teri.
Si tratta di un’esigenza imposta so­prattutto dal mercato italiano, dove sono utilizzate circa un centinaio di altezze differenti.
La clientela ha tutta una gam­ma di richieste da presentare alla Ne­biolo, e la Società si fa onore di poterle esaudire tutte allo stesso modo, cioè con il consueto standard di precisione ed effi­cienza.
A questo scopo, il reparto è stato dotato di una serie completa di attrezza­ture: fresatrici verticali semi-automati­che di progettazione aziendale, mandrini ad alte velocità con fresa ad otto utensili in carburo di acciaio, impianti di aspira­zione dei trucioli, e così via.

Un parti­colare sistema di affilatura su rettifica lappatrice a mole diamantate garantisce la costanza degli angoli di taglio e la per­fetta complanarità degli spigoli taglienti.

I caratteri, a questo punto, sono giunti alla quinta fase del loro processo produt­tivo. Sono scesi dal secondo piano dello stabilimento al pianterreno.

Li attende la “messa in polizza”, operazione compiu­ta dalle delicate mani di una quarantina di operatrici, affiancate da alcuni magazzinieri.
Che cos’è la polizza? E’, in sostanza, un documento, un cartellino identità che definisce, in relazione alle diverse esigenze di una lingua e di composizione, il numero minimo e massimo delle lettere e dei segni alfabetici necessari per poter mettere insieme un testo. Per esempio, in italiano la lettera “K “ è poco usata, mentre trova un uso assai più frequente nelle lingue scandinave.
E, allora, una polizza per la Svezia richiederà un maggior numero di “K” che non una destinata al nostro paese.
La Fonderia ha elaborato alcune centi­naia di polizze, ciascuna rispondente ai requisiti richiesti dal tipo di carattere (normale, largo, stretto, solo maiuscolo, per scritture), dal tipo di composizione (extra testo, testo, avvisi) e dal corpo (piccolo — 6 punti  o grande — 72 punti —). 
Attualmente, per semplificare i problemi del settore, è in corso una pro­posta di unificazione delle polizze, i cui dettami sono già messi in pratica dalla Nebiolo.

Le operatrici manipolano quintali di ma­teriale, assolvono alle richieste di clienti che si trovano in mezzo mondo.
Pensate, possono essere fornite polizze in decine di lingue diverse: italiano, francese, spa­gnolo, portoghese, inglese, statunitense, belga, olandese, tedesco, svedese, e persi­no in turco, serbo-croato, russo, african­der, quel terribile linguaggio derivato dall’olandese e ricco di termini anglosas­soni che parlano nel Sud Africa. Del re­sto, il 30 per cento della produzione della Fonderia viene esportato, principal­mente negli Stati Uniti, in Francia, Spai­gna, Perù e Inghilterra.
Il successo dei caratteri Nebiolo negli Usa, Inghilterra e Svizzera è stato in questi ultimi anni lusinghiero, anche in considerazione del fatto che questi tre paesi non sono certo privi di stabilimenti grafici e di fonderie di caratteri.

Ma le ragazze ai problemi di vendita ed esportazione non pensano.
Badano a lavo­rare agilmente, sedute ai loro banconi.
Una accanto all’altra, selezionano, suddividono, ordinano, mandano al magazzino, che è sistemato nello stesso salone.
Come per le matrici, anche qui troviamo file di armadi, a formare quasi un labirinto. I caratteri, ormai, sono pronti ad essere impiegati, lucidi e lustri come tanti soldatini.

I minimi, cioè i quantitativi in peso o in numero dei segni e delle lettere di una polizza, necessari per una composizione media, vengono sistemati in scatole di cartone ondulato studiato per offrire un’ottima protezione dei ca­ratteri e, in particolare, del loro punto più delicato, cioè l’occhio.
Sarebbe davvero un peccato, dopo tutte le cure ricevute, che un carattere dovesse dereriorarsi per qualche inconveniente di spedizione.
Vorrebbe dire che tutto un lavoro prezioso e paziente è stato com­piuto per nulla. Per ciò, anche in questa operazione finale, così umile rispetto a quelle che l’hanno preceduta, si opera con analoga attenzione, con identica premura.
Ecco, così si lavora alla Fonderia carat­teri della Nebiolo.
Un ciclo breve, ma intenso, dominato, in ogni sua fase, da una ricerca costante del “meglio”, del “perfetto”.
E’ una ricerca che è comu­ne in tutte le sezioni della Nebiolo, ma che qui, di fronte alla nobiltà di una tradizione secolare, assume valori parti­colarissimi.
E ancor maggiore rilievo acquista se si considera che non si tratta di una produzione artigianale, ma di una grande produzione industriale.
Michele Fenu