mercoledì 14 dicembre 2011

Visita alla Sindone



U
na grande moltitudine di individui, formando un lungo serpentone, si snodava lungo il viale che dai Giardini Reali, portava all’interno della Cattedrale dove era esposta la Sindone. 

Ciascuno portava seco una porta sulle spalle, leggera, fatta di parole. Su ciascuna era scritta o accennata una frase o un pensiero che diceva di colui che la portava. Laico; Credente; Ateo; Cristiano; Cattolico; Indifferente; Curioso. Ma solo colui che la portava aveva la facoltà di leggere quelle parole.

Lungo il tragitto, innumerevoli corridoi portavano i pellegrini ognuno al suo ingresso personale che si apriva quando, giunti in un certo punto, ognuno piazzata la sua porta, apriva il suo varco. Allora, tutti insieme, ma procedendo su percorsi diversi e paralleli, si avvicinavano e poi, giunti al cospetto, sostavano, osservavano e passavano.

Ad un certo punto, mentre solitario procedevo nel mio corridoio, la terra di Palestina di duemila anni fa si apriva al mio sguardo. Una terra ricca di ulivi, di viti, di grano, fichi d’india, agavi. Gente che andava, che veniva. Pastori, mercanti, pescatori, soldati in armi e donne con bimbi, vecchi canuti con vesti antiche, storpi, malati, viandanti, gente di ogni genere. Una tomba scavata nella roccia.

Gesù, risorto, assunse la nuova dimensione e librandosi attraverso le bende funebri, splendente della luce divina, tornò per testimoniare la grande verità. Sul Lino opalescente che si presentava dinnanzi a noi, leggemmo la Sua Storia, la Sua Sofferenza il Suo Annuncio. La scienza non sa spiegare la natura di quelle tracce. Sulla sua autenticità non ci sono certezze. Ma l’effige che traspare da quella impronta, affascina migliaia di uomini e donne di ogni età, che ad ogni Ostensione, passano davanti e l’osservano per attingere la forza del Suo Messaggio.

Alcuni abbandonano la porta con le proprie convinzioni, ed assumono il nuovo simbolo.

La lunga teoria di pellegrini che sfilano sulle scalinate, uscendo dal Duomo, con quelle croci eteree sulle spalle, come in una lunga “Via Crucis”, torna alla vita quotidiana.

Gaetano Donato

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